venerdì 23 dicembre 2011

my own kind of distance


Fort Brennistas. « ripete quel nome a mezza voce, più roca di prima » tuo nonno è morto a centoventi miglia da casa mia.

... E a più di ottanta parsec da casa sua.



Proprio come me.
Anche quando lo dice uno sconosciuto, soprattutto se lo dice uno sconosciuto...
certe cose fanno più male di cento coltellate in pieno petto.



giovedì 22 dicembre 2011

my own kind of keeper



Tengo gli occhi socchiusi mentre provo ad addormentarmi, in modo da non potermi scordare che dopo le mie palpebre c'è la luce.

Scivolo in un ricordo pieno di vento. Mi stringo in un cappotto imbottito di lana e insieme a mio fratello procedo verso la grande casa di legno in cui siamo cresciuti. Sono felice e impaziente, ho i capelli legati e gonfi di umidità. Una pioggia leggera e piena di lame mi cade sul viso senza darmi fastidio. Sto ridendo di qualche battuta. Accelero il passo per il freddo.

Penso di bussare alla porta, ma a tre metri dal portico la porta si spalanca e ne esce mia madre, che si pulisce le mani sporche di farina su un grembiule macchiato. Sorride anche lei. Cain mi precede e le va incontro. Mentre la abbraccia, io faccio i primi gradini.

This house
she creeks and moans
she keeps me up

Il legno scricchiola sotto i miei piedi. Salgo le scale senza fretta, stanca, e spalanco le braccia per stringere mia madre. Lei mi batte sulla spalla, poi mi prende il viso con le mani ancora pallide e mi bacia su entrambe le guance.

This house
she's quite a keeper
quite a keeper

Mi sveglio con l'odore della farina nelle narici, ma con calma, senza sobbalzare mentre apro gli occhi. Sento un nodo alla gola, e lo ingoio. Chiudo gli occhi di nuovo, sperando di tornare nello stesso sogno.



mercoledì 14 dicembre 2011

my own kind of breath



Un respiro profondo.

Mi sono sentita mancare il fiato, per un istante. Era come se avesse colpito il giubbotto con tanta forza da farmi rientrare il kevlar nella cassa toracica. Sono caduta a terra, con quel passamontagna che mi impediva di incamerare l'aria fresca pompata dai sistemi vita della Almost Home. E mi è tornato in mente cosa diceva mia madre quando ero nervosa, o quando mi facevo male.

Un respiro profondo.

Era una donna dura, mia madre. Crebbe mio e mio fratello da sola. Non so perché non si sia mai sposata: da giovane, ancora lo ricordo, era una ragazza splendida. Quando io e Cain eravamo piccoli ebbe anche attorno un paio di pretendenti. Il primo era un ragazzotto di Indira, abbronzato e con un sorriso bianco, la barba che gli cresceva a macchie. Quando avevo sei anni, però, mi ricordo un altro uomo: Don. Don era un uomo vero, me lo ricordo: un signore con una barba folta e brizzolata di una quarantina d'anni, con una schiena ancora buona e un lavoro dignitoso. Gestiva una piccola fattoria col sudore della fronte. Sembravano stare bene, insieme. Quando lui era in giro, lei sorrideva sempre. Aveva poco più di trent'anni allora, e il suo sorriso era raro, ma anche splendido. Don la rendeva rilassata, la faceva abbandonare ogni tanto a se stessa, le faceva godere un minimo una vita che per lei era sempre stata fatta di lunghe ore di lavoro. Se la cavava anche con noi, Don: mi ricordo i regali che mi faceva per Natale e per il compleanno, il modo semplice che usava per spiegare le cose complicate, le sue mani robuste che mi aiutavano a salire sul mio primo cavallo. Non era zio Sam, non era neanche mio padre. Ma per un po' fu qualcosa che vi si avvicinava molto.

Un respiro profondo.

Non si sposarono mai, e dopo un po' Don non si fece più vedere. Non ho mai saputo perché mia madre rifiutò la sua offerta, ma ho sempre avuto un'idea. Era un uomo all'antica, di quelli che volevano provvedere alla propria moglie, alla propria famiglia, senza fare alzare loro un dito. Mia madre non era così, non era per quella vita: era una donna indipendente, che lavorava sodo e che non ammetteva che nessuno dicesse una singola parola di critica su come educava i suoi figli. O forse, dopo tanto tempo passata da sola, ci aveva semplicemente fatto l'abitudine. Quando ero più giovane volevo essere come lei. Volevo stare da sola, non volevo legami, non volevo nessuno che mi dicesse, o che solo mi suggerisse cosa fare, o che volesse avere una parola nel modo in cui conducevo la mia vita.
Poi la guerra ha cambiato tutto. Come se in un solo colpo avesse spazzato via la speranza di avere una vita normale, una relazione duratura, un vero tetto sulla testa, un lavoro onesto e qualcuno da cui tornare a casa la sera. John non l'ha mai capito. Non ha mai capito che la mia rabbia non veniva dall'avere gli occhi puntati al passato, ma dal non riuscire più a vedere avanti a me. Niente che mi piacesse, almeno. Niente che non sembrasse solo una bugia, un'imitazione squallida della vita che avrei potuto avere se avessi messo qualche soldo da parte, se avessi trovato la persona giusta, se i miei cari non fossero mai morti.

Un respiro profondo. Ogni volta che mi sbucciavo un ginocchio, che mi facevo male. Lei non mi aiutava ad alzarmi. Mi guardava soltanto con quegli occhi intensi che aveva, dicendomi: "un respiro profondo". Era il suo modo per evitare che piangessi, che dessi troppa importanza alla caduta, che mi dimenticassi che potevo rimettermi in piedi con le mie sole forze.

Forse l'ho fatto. Ho trovato la Almost Home, che è quasi una casa, il mio equipaggio, che è quasi una famiglia. Un lavoro quasi onesto, un uomo quasi giusto.

Un respiro profondo.

Vorrei non sapere come questa vita andrà a finire. Vorrei non sapere che c'è un proiettile col mio nome sopra, da qualche parte del 'Verse, che prima o poi mi strapperà via anche questo quasi-futuro che mi sono costruita.