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sabato 9 novembre 2013

my own kind of ghosts



Al tavolo dove mangiava tutte le sere, di fronte al camino che aveva visto lei e Cole Scott felici, per una notte brevissima. Sulla veranda da cui aveva puntato il fucile in attesa che arrivassero i desperados dei tre fratelli Bolton. Nelle stalle dove aveva tenuto Shamrock, tra i cavalli che aveva curato, ormai vecchi. Nella sala in cui avevano tenuto il corpo ripulito di Buck Blackbourne, con le mani sul cuore e il browncoat macchiato. Nell'infermeria dove l'avevano vaccinata, lungo i campi in cui aveva rischiato la vita contro scorpioni geneticamente modificati grandi come pecore. Dietro la finestra che guardava mentre progettava un omicidio. 

Jack Rooster si muove nella bella casa colonica e la casa le parla di quando c'era Ritter a difendersi dietro i muri, di quando c'era Sterling a bussarle alla porta e Roona Mei Wilson a scartare regali. Le parla di quanto ha dato, quanto ha preteso, quanto non le è stato restituito. Parla di tutti i pugni dati ad Arkan McCorvin e di quando fu cacciata, e il giorno dopo aspettò la squadra di alleati al Crazy Horse Saloon. Parla di Jimbo nascosto in cucina e del ruggito delle notti senza luna. Segue sul pavimento le tracce di una nostalgia piena di rancore. Conta sulle tacche del mauler le volte che ha rischiato la vita per gente che non l'avrebbe rischiata per lei.

"Ammiraglio, è tutto pulito. Procediamo?"

La voce nell'auricolare sfrigola. 

"Aye. Prendete le provviste, e il bestiame. Prendete ogni cosa."



Never took the chance to be
Something I thought I lacked
The only things I give away
Are things I don't want back

giovedì 3 ottobre 2013

my own kind of stumbling block



Capital City, ottobre 2515


Era sera tardi. Maryanne era seduta su un divano largo e morbido, a gambe accavallate. Osservava le holonews proiettate al centro della sala. La visuale abbracciava dall'alto centinaia di soldati in uniforme blu allineati, con la pancia in dentro e il petto in fuori. Tenevano il mento sollevato. Lo zoom su qualche volto mostrava rasature precise, o forse facce troppo giovani. 

Le notizie riportarono per la terza volta dall'inizio del programma la disfatta della flotta confederata. Maryanne ascoltò di nuovo ogni parola, quindi la conta dei morti. La prima volta che aveva saputo, si era premuta una mano sulle labbra e aveva spalancato gli occhi con orrore. Non aveva avuto bisogno di controllare la propria reazione: Sean era ancora a scuola e Kal non era a casa. A casa ci passava ormai poco tempo, dormendoci un paio di volte a settimana. Prima di fuggire nel Core, Maryanne non sapeva neanche cosa fosse, il divorzio. Aveva permesso l'adozione di suo figlio da parte del nuovo marito con infinita ingenuità, pensando che un nuovo cognome corer gli avrebbe permesso di integrarsi meglio nel nuovo mondo. Quello stesso cognome adesso la minacciava: senza Kal non aveva un reddito, non aveva una casa. In più era una rimmer e non era capace di aiutare suo figlio neanche con i compiti di scuola. Gli avvocati avevano già palesato l'intenzione di forzare la mano su un affidamento congiunto, con preponderanza del padre.

Polaris, Polaris poteva essere una possibilità. Aveva sentito parlare di posti come Tauron e Bullfinch, le sembravano simili alla Shadetrack di un tempo. Avrebbe preso Sean e sarebbero scappati. Se anche fossero riusciti a rintracciarli, sarebbero stati in una legislazione diversa, quella confederata. Sean, lui si sarebbe adattato facilmente - era giovane. Lei avrebbe potuto vedere un fiume vero, dopo tanto tempo.

I loro IdN erano marchiati Columba, ma tra le informazioni riportavano anche la residenza a Horyzon. Si era ricordata di Jack, allora, e di quella volta che le sbatté la porta in faccia, spingendola nella neve della sua splendida villa a Horyzon. Della villa di Kal. L'aveva cercata. L'aveva trovata. Poi era scoppiata la guerra, di nuovo.

Si spinse verso il tavolino e prese tra le dita il bicchiere di vino rosso sintetico che si era versata. Lo svuotò con le palpebre ancora arrossate.

A Sean non aveva detto niente. Non aveva detto di Cristobal Barclay, né di John Cassidy. Era stata costretta a raccontargli di suo padre, però, e di chi fosse Jack Rooster. Di come fosse partita per fare il soldato e mai più tornata, fino a pochi anni prima. Sean era un ragazzino sveglio e aveva capito, ne era sicura. Negli occhi verdi (gli occhi dei Rooster) si era accesa la speranza di un'avventura. Quando hai dieci anni vuoi sentirti dire che sei diverso da tutti gli altri e che potrai presto andare lontano, verso uno splendido destino. Nella mentalità di Sean, cresciuto nel Core, le praterie di Shadetrack e quelle di Tauron erano ostili ma anche romantiche, idealizzate. Avventurose. Non aveva mai avuto una famiglia al di fuori di Maryanne, e adesso c'era la possibilità di trovare la sorella di suo padre. Si sarebbe adattato. Questo prima della guerra.

Ma non avrebbe potuto portare suo figlio in una zona di guerra. L'orrore delle minacce di bombe su Shadetrack l'aveva tenuta sveglia per mesi, il dolore anche. Non l'avrebbe portato in un territorio di morte e stenti, nell'ennesimo angolo di cielo stretto e distrutto dalla potenza alleata.

Per risparmiarglielo, era scappata da casa la prima volta. Per quanto Jack Rooster diceva di poter garantir loro un posto sereno, un posto sicuro, lei aveva imparato da tempo a non fidarsi delle promesse dei Rooster. Come quella di proteggerli.

Come quella di tornare.

mercoledì 14 agosto 2013

my own kind of salted wound


Arriva alla Almost Home lasciandosi trascinare da Shamrock, curva sulla sella, e quando trova John Cassidy seduto in fondo alla rampa non se ne sorprende. L'ha visto dodici ore prima a Timisoara, prima che il 'Verse si rovesciasse su se stesso come un guanto. Resta in silenzio mentre scende di cavallo e lui si alza in piedi, resta in silenzio mentre imbocca la rampa e lui la segue. Resta in silenzio passando sulla catwalk, davanti agli sguardi perplessi di un equipaggio perfettamente in grado di riconoscere una faccia straniera. Resta in silenzio quando entra nella sua cabina e John entra dopo di lei, richiudendosi il portellone alle spalle.

Lui la guarda. Ha la polvere incrostata sulla pelle e getta le mani sotto l'acqua per liberarsene. Le passa sul viso, sulle braccia, sul collo. Lui rimane in piedi in un angolo, con le spalle arrese e gli occhi svuotati che cadono progressivamente a terra, quasi temesse di invaderne il dolore. Lei aggrappa le mani ai bordi del lavandino, tende le braccia umide e si fissa nello specchio.

"Scriverò una risposta e ti pagherò per portargliela di persona, così come lei ha pagato te"
"Jack..."
"E' il motivo per cui sei qui, no? Le scriverò che posso aiutarla, di fare i bagagli e di raggiungermi"
"Non verrà più, Jack"
"Mi ha scritto chiedendomi di--"
"Non fingere che non sia successo niente".

Lei stringe le dita sull'alluminio tanto da far sbiancare le nocche. Ha bevuto due bicchieri d'acqua e ha sudato per dieci ore quasi consecutive. Non ha più energia, forza. Solo la rabbia affranta e bendata delle bestie ferite.

"Non sei tu che devi decidere. Devi solo portare il messaggio"
"Sei sconvolta, ma devi ascoltarmi"
"Devi solo portare il messaggio"
"Ascolta: se le dici adesso di raggiungerti ti penserà pazza. Non sarà disposta a mettere a rischio suo figlio"

John si avvicina, le poggia le mani sulle spalle, la fa girare. Lei se lo scrolla di dosso con una scarica di elettricità convulsa a fior di pelle.

"Non saranno a rischio: li manderò su Tauron. Ho gente che può occuparsi di loro, può assicurarsi che stiano bene"
"Non si affiderà a degli sconosciuti"
"Non sono sconosciuti. Sono fidati, sono come la mia famiglia"
"Loro due sono la tua famiglia, Jack"

Lei spalanca gli occhi. Tende le braccia, ma si rende conto di averlo spintonato due secondi dopo averlo fatto. Nel momento in cui lo realizza, sente di poter tornare indietro, di dover continuare sulla stessa linea poiché un dietrofront sarebbe inammissibile. Allora, nonostante gli occhi spalancati e stupiti di John Cassidy, fa un passo avanti e lo spintona di nuovo, scoprendo che spingerlo via la fa sentire più forte e più potente, padrona delle sue azioni, più forte di lui, più grande e imbattibile.

Urla.

Qualcosa come "So che sono la mia famiglia", e "li ho cercati per anni", e "per questo dobbiamo stare insieme". E a ogni frase la voce diventa più potente e le spinte più aggressive, nonostante Cassidy irrigidisca le spalle e le dica di smetterla, di ragionare, di provare a capire che Polaris andrà in guerra e Maryanne non accetterà di tornare sotto le bombe, non accetterà di portare suo figlio di undici anni cresciuto negli agi del Core fino a Tauron solo perché conosca la guerra da cui sono fuggiti quando non c'era nessuno a proteggerli.

C'ero io a proteggerli, urla Jack, c'era mio fratello, suo marito, suo padre.

John, con le spalle ormai contro la paratia gelida della cabina, argomenta che lei e suo fratello sono andati in guerra su pianeti lontani mentre tutti a casa loro morivano.

Cosa ne puoi sapere tu?

Me l'ha raccontato lei.

Quello che segue è una confusione di urla e pugni che li stringono più vicini nella rabbia e li spingono lontani quando un naso rotto e un labbro spaccato sembrano ad entrambi un bilancio sufficiente. 

"Ascoltami bene, John", dice mentre lui si respira pesantemente sul palmo chiuso.

"Ascoltami bene, John: hai presente la bomba a Capital City? L'ho messa io."

Lui sgrana gli occhi, lei si morde il labbro rendendo il taglio più profondo, il sangue più salato.

"Ho messo quella bomba e ne metterò altre cento, se è quello che ci vuole. Le metteremo a casa loro. Sotto le loro sedie e sopra la loro testa. Abbiamo già perso una guerra pensando che il nostro primo compito fosse difendere la posizione, invece che guadagnarne di nuove".

Lo sguardo di lui vacilla stordito. Fissa Jack Rooster e trova un'immagine che conosce bene; la stessa terrorizzata ferocia di quando la raccolse dalla Valle. Ma allora era diverso, allora ognuno aveva la stessa paura negli occhi, quella di chi ha perso ogni singola cosa al mondo e se ne sta progressivamente rendendo conto. Anche lui era così. Ma mentre John Cassidy ha deciso di arrendersi, chi ha di fronte preferisce sbucciarsi le nocche contro i muri piuttosto che ammettere che è finita, che è persa.

"Tu andrai da Maryanne e le dirai che il Core non è più un luogo sicuro. Che ho abbastanza soldi da parte da comprare a lei e a Sean una casa, qui a Polaris, e che se non vuole che quel fottuto bastardo con cui ha pensato di sposarsi le porti via suo figlio farà bene a mettere il culo su una nave, e a farlo in fretta".

"Finirà come su Shijie, Jack. Finirà come su Shijie e su Shadetrack"
"Non sono più la figlia di nessuno arruolatasi come soldato semplice. Sono l'ammiraglio del Terzo Aviotrasportato Polaris - si avvicina al portellone e lo spalanca, rimanendo in piedi al suo fianco, aspettando che Cassidy le sfili davanti - per me le cose funzionano diversamente, adesso".

Lui ci pensa. Si asciuga il sangue che cola dal naso con la manica della camicia, mischiandolo alla barba ispida e incolta.

"Sono venuto di persona perché volevo darti una cosa."

Si fruga una tasca. Jack rimane a fissarlo con un distacco severo. Una crepa sottile e scomposta le apre l'espressione quando Cassidy schiude il pugno che le porge, svelando l'anello di oro lavorato attorno a un diamante appena scheggiato. Il groppo alla gola che deglutisce è ruvido e le si aggrappa dentro.

Non lo vede dal maggio del 2511, e fino a quel particolare momento era convinta che John l'avesse venduto per pagarci il carburante. Lei non si muove, per cui lui si limita a poggiarglielo sul letto, con delicatezza. Torna sui propri passi, ma le si ferma davanti.

"Ho sempre pensato che presto o tardi avresti deciso di tornare a casa tua, e allora te l'avrei restituito. Dio solo sa se non lo farei io, se avessi qualcuno da cui tornare".

Ma Jack Rooster rimane immobile, pietrificata, e non dice niente.

"Gàobié, mǔ shī. Wǒ xīwàng nǐ huì hěn gāoxìng with your new life and all"

Se ne va via da solo, col passo incatenato dei fantasmi più ingombranti.

sabato 6 luglio 2013

my own kind of things falling back into place




Luglio 2515, Capital City


Maryanne leggeva un libro di carta mentre suo figlio, seduto sull'ampio davanzale di una finestra bassa e ampia, evitava accuratamente di fare i compiti. Ogni tanto si sfiorava l'occhio destro, gonfio e violaceo, per sperimentare quanto gli facesse ancora male. Erano mesi che attaccava briga a scuola senza che i genitori riuscissero a spiegarsi il motivo. Lo avevano mandato per cinque settimane da una psicologa infantile assai raccomandata da alcuni colleghi di Kal, ma fino ad ora non vi erano stati progressi significativi. 

- Sean - lo richiamò all'ordine, piano. Sean continuò a guardare le gocce di pioggia che scivolavano lungo il vetro. Era un bambino di dieci anni, con dei lineamenti delicati e i capelli tenuti lunghi sulla fronte. Maryanne aveva provato mille volte a farglieli tagliare, ma aveva ricevuto sempre scrollate di spalle eloquenti. 

- Kal torna stasera?
- Non credo
- Lavora?
- Sì, certo...
- Quando torna?

Anche Maryanne sapeva essere sfuggente, talvolta. Voltò pagina e si schiarì la voce.

- Domani ti porto alle Terrazze Verdi, ti va?

Sean divenne più accigliato. Dopo un po' poggiò l'holodeck che aveva in grembo e si voltò verso sua madre.

- Mi parli di Shadetrack?

Maryanne alzò gli occhi bruni su suo figlio con estrema cautela. Schiuse le labbra morbide, boccheggiò qualche istante. Chinò il capo e chiuse lentamente il libro. Non era la prima volta che si lasciava sorprendere da quella domanda. Si biasimò per non aver pensato ancora a una risposta soddisfacente, neutra a sufficienza. Esauriente abbastanza da non portare ad altre domande. Erano le altre domande, che temeva.

- Che cosa ricordi di Shadetrack?
- Poco. Che non c'erano i cortex pad. E un signore alto... grosso. Che passava molto tempo con me. 
- Ti ricordi tuo nonno. Mio padre. Ma non passavate così tanto tempo insieme, lui... ti teneva ogni tanto.
- Me lo ricordo bene.
- E' strano.
- Tu sei nata a Shadetrack?

Maryanne poggiò entrambe le mani sul vetro brillante e trasparente del tavolo. Si guardò le dita affusolate, alla ricerca di un'elaborata via di fuga. Si rassegnò alla verità abbastanza presto.

- Sì. 
- Vuol dire che se tu e Kal vi lasciate noi torniamo su Shadetrack?
- No, non... - Maryanne si passò una mano tra i capelli corti e biondi - no Sean, non devi preoccuparti... io e Kal non ci... perché pensi questo?
- A me va bene, se tu vuoi. Tornare su Shadetrack.
- Sweetie... Shadetrack non è un posto dove tornare.
- Perché? Non ti piaceva?
- Non è questo, è che... è diventato un brutto posto dove vivere, dopo la guerra.
- La Grande Guerra?
- Sì, la Grande Guerra.
- Quella in cui è morto mio padre?

Ce l'aveva fatta, l'aveva agganciata. Teneva gli occhi su di lei con una severità particolare, attento a non farsela sfuggire neanche per un istante (o l'avrebbe persa, ne era sicuro). 

- Sì, Sean. Quella guerra.
- Anche lui era di Shadetrack?
- Sì, lo sai...
- Quindi non ho capito... se era di Shadetrack, perché era nell'Esercito?

Sean aveva vissuto per la metà esatta della sua vita (quella più recente e più rilevante) nel cuore pulsante dell'Alleanza: quando parlava dell' "Esercito", c'era un solo "Esercito" a cui poteva riferirsi. Maryanne lo sapeva. Si alzò dalla sedia lisciandosi la gonna, aggirò il tavolo e andò a sedersi accanto a lui, senza invaderne lo spazio.

- Perché? - incalzò lui, per nulla intenzionato a farsi stringere all'angolo.
- Lui era nell'altro esercito, Sean.
- Nei Browncoats?
- Sì.
- Anche Jack Rooster lo era?

Seppe di essere esattamente dove voleva quando vide sua madre irrigidirsi. Nonostante non fosse certo il migliore tra gli studenti, Sean possedeva l'istintualità indomita di un lupo e come un lupo aveva studiato le tattiche migliori per ottenere ciò che voleva. Sorprendere e insistere non funziona sempre, con sua madre. Ma la maggior parte delle volte sì.

- Jack Rooster era la sorella di mio padre. Vuol dire che mio padre si chiamava Cain Rooster, e che io mi chiamavo Sean Rooster. - catalogò con precisione.
- Come sai di Jack?
- Vuol dire che Jack Rooster è mia zia?
- Sean, chi ti ha detto di... ti ha cercato, ti ha avvicinato? 
- Mi avevi detto che tutta la famiglia di mio padre era morta.
- Sean, è grave: rispondimi.

Lui strinse i pugni e i denti, e sul viso scuro si affacciò tutta l'ostinazione dell'infanzia.

- Rispondimi tu. Perché mi avevi detto che la famiglia di mio padre--
- Kal è tuo padre!
- No. Kal è tuo marito, ma non è mio padre. 
- Non sto scherzando, Sean. 
- Kal è tuo marito, e questa è la sua casa, e io non c'entro niente!
- Sean.

Lei provò a prendergli un braccio, lui lo strattonò via nella furia di alzarsi in piedi e correre al piano di sopra.

- Sean!

Non si voltò. Maryanne rimase lì da sola, con gli occhi spalancati e pienamente storditi. Si alzò in piedi e andò al telefono, digitando il contatto di suo marito con i polsi che le tremavano. Squillò a vuoto.