giovedì 31 maggio 2012

my own kind of partition



Un pilota per nave, un artigliere per nave.

Aspetti ogni giorno un messaggio dal comando superiore e quando finalmente arriva inizi ad immaginare un 'Verse libero e una vita degna di essere vissuta. Mandi giù antidolorifici come i bambini le caramelle rendendoti conto che hai bisogno di cambiare marca, che il dolore non riguarda solo la gamba e che hai bisogno di sentirti a volte la testa leggera perché altrimenti peserebbe tanto da farti da ancora, e non potresti più muoverti, e rimarresti ferma a lasciarti morire come avresti voluto fare dal giorno in cui tuo fratello ti morì addosso.

Edwards conosce meglio la Almost Home. La sicurezza della Almost Home è la priorità, non perderò la mia nave.

Cristo, il dolore. Non ci sono respiri profondi che reggano, occhi che possano contenere la sensazione di avere un coltello conficcato perennemente nella gamba. A volte mi isolo e passo un'ora a respirare solo per avere circa due minuti e mezzo di pace, senza dolore. Poi rinizia, e allora riprendo il tubetto e leggo l'etichetta, e mi dico di nuovo che dovrei cambiare marca, andare su cose più forti. Adesso no, non posso prenderli. Adesso ho bisogno di avere la mente lucida. Ho bisogno di quei due minuti e mezzo di pace.

Un pilota per nave, un artigliere per nave. Wright ha già pilotato un Orient, l'ISS Alaska sarà nelle sue mani.  

Wright sembra in gamba, con molte idee. Lo guardo e mi specchio nella sua rabbia, anche se siamo due cose diverse. La sua rabbia è attiva, costante e organizzata. La mia è esplosiva e imprudente. Avevo bisogno di uno come lui, con cui confrontarmi. L'Orient sarà suo.

Un artigliere per nave. Dove sono io non può trovarsi Pike. Conosco i sistemi d'arma delle Almost Home, le sue batterie laser, i sistemi di puntamento. So anche come gestire l'artiglieria più pesante dell'Orient, però.

Si tratta di scegliere tra il cavallo agile e quello resistente. Da ragazza preferivo i cavalli veloci e resistenti, mentre per i rodei avevo Trueno, che era svelto e agile, e poteva fare così tanti cambi di direzione nel giro di trenta secondi da farti venire la nausea. Ma su un cavallo ci sta un solo cavaliere, mentre una nave è un equipaggio. Il cavallo ha un solo capitano. Una nave ha un solo capitano.

Un artigliere per nave, un capitano per nave. Vorrei Sterling tra i motori dell'Orient, ma non mi importa se l'Orient cade a pezzi. Vorrei Sterling a comando di una nave, ma se è a comando di una nave non può stare tra i motori. Ma se resta con Edwards, forse non servirà. 

Edwards guarda male il nuovo pilota. Lo fa sempre, con i piloti nuovi, forse è per questo che non durano poi tanto. E' meno stronza con Pike. Pike è bello, magari le piace. Pike parla poco, questo piace a me. Strizza l'occhio spesso, come se tutto quello che non dicesse lo potesse riassumere in un ammiccamento. Non so dove ha combattuto, lui. Ma so che ha combattuto: se anche non avessi avuto il suo IdN, gliel'avrei potuto leggere negli occhi.

Un artigliere per nave, un capitano per nave. La Almost Home è la mia vita, ma la prima offensiva deve essere dell'Orient. Devo guidare la prima offensiva o i rinforzi? L'ultima volta che Sterling è stata capitano di una nave, ci siamo trovati al centro del tornado. La nave è andata distrutta e noi siamo quasi morti. Ha imparato? E' in grado di comandare una nave? E' in grado di comandare la mia nave.

Un pilota per nave, un artigliere per nave, un capitano per nave. 

Quale nave, è solo una questione di fede


mercoledì 30 maggio 2012

my own kind of wall







Sterling che fa un passo avanti mi ferisce.

Sterling che fa un passo avanti per proteggere Ritter da me mi ferisce. Mi mette sul piano dell'aggressore, del nemico. Mi mette sul piano della persona di cui non ci si può fidare, della pericolosa, della violenta, della rissosa omicida.

Sterling che si mette sulla mia strada verso Ritter equivale a Sterling che mi urla in faccia di non fidarsi di me, di aver rivisto le sue priorità, di aver sistemato le posizioni, di aver messo un uomo prima della mia nave e della causa.

Sterling che estrae una pistola davanti a me, mentre cammino verso Ritter, è il mio ufficiale meccanico che ignora i miei ordini.

Sterling che estrae una pistola davanti a me, mentre cammino verso Ritter, è una delle persone di cui più mi sono fidata nel momento in cui diventa mia antagonista.

E' un cane pacifico che decide di mordermi, è il terreno che mi frana sotto i piedi, il tuono in una giornata di sole pieno. E' Cole Scott che mi urla che non valgo niente, che un giorno avrò anche io paura di lui. E' un incubo ricorrente.

E' sbagliato.

Non c'è più niente che non lo sia, in questo 'Verse.

your defenses were on high / your walls built deep inside / yeah I'm a selfish bastard / but at least I'm not alone / my intentions never change / what I wanted stays the same / and I know what I should do / it's time to set myself on fire / was it a dream?

lunedì 28 maggio 2012

my own kind of public relationship


Con Roona Mei al capezzale di Thomson e Sterling uguale, mi sono ritrovata a dovermi occupare di mille cose che al ranch non ho mai fatto. La mattinata intera al banco della frutta e verdura alla piazza del mercato, per dirne una: mai vista una trafila di individui con richieste più ridicole. E i carciofi né piccoli né con le spine, e le pesche noce, e i cavoli verza che non sono uguali ai cavoli cappuccio, e come mi consigli di cucinare queste rape, e quali sono le carote buone per lo stufato, e queste mele che mi hai dato sono tutte ammaccate, e dove stanno i cavalli che ci stanno di solito? Appena è passato Carradine gli ho mollato tutto, e poco me ne fregava che fosse solo passato per portare i cavalli che mi ero scordata. 

C'era quel tipo, quel Mickey, l'oste nuovo dei Marshall. E' uno strano, che non porta armi con sé perché "non gli piacciono" ma che potrebbe voler imparare ad usarle per proteggere "qualcuno", quella di cui è innamorato, dice lui. Deve essere stagione, sono tutti con gli ormoni strani.

Non so se Sterling e Ritter si sono resi conto di ciò che ho fatto. Non so se si sono resi conto che, per quanto volessi sbattere le loro teste contro il muro fino a sfondarlo, non avrei mai ucciso Ritter. Non so se si sono resi conto che quello che li ho obbligati a fare non l'ho imposto solo per tutelare noi, ma anche per proteggere Ritter. Da me. Gli ho dato un biglietto per entrare nella mia famiglia - perché Sterling, nonostante mi abbia deluso, resta famiglia -, una garanzia che non gli farò mai del male, perché non faccio male ai miei. L'ho costretto ad essere dei miei perché in questo modo non potrà sottrarsi. Perché il matrimonio tiene la gente insieme anche quando non si sopporta più, perché in questo modo - quando avrò Sterling col cuore spezzato a bersi l'anima in sala macchine - non dovrò preoccuparmi di prendere il revolver e andare a cercare il suo ex-fidanzato che, senza più il collegamento che li tiene uniti, diventerebbe un rischio che non possiamo permetterci di correre.

Sono stanca. Sono esausta, a ben vedere. La gamba non mi ha mai fatto così male, a volte il dolore mi fa venire le lacrime agli occhi. Di notte, soprattutto. Mi stordisco di antidolorifici finché non sento più neanche il peso della mia vita. John Cassidy diceva che c'è solo un certo numero di cose che una persona può sopportare, e che dopo averle sopportate tutto basta, fine, non può reggere nient'altro. Giorno dopo giorno mi sento sempre più vicina a quel limite. 

Però prendo respiri profondi fingendo che vada tutto bene, che non ci pensi mai a tutto questo. Che non pensi mai a lui, che non sia andata quel pomeriggio a Safeport a cercare il suo tatuatore a Sunset Tower per farmi dire che non torna a casa sua da una vita, che non sia andata a cercare conforto sul corpo di una puttana che puzzava di sudore.

Uno in completo di Koroleva mi ha chiesto, oggi al mercato, se faccio ciò che è giusto. Io gli ho ripetuto quello che diceva mia madre, e che faccio ciò che devo. 

Spero solo di avere abbastanza forze da continuare a farlo.


venerdì 25 maggio 2012

my own kind of poison













"Che hai fatto alla gamba?"

Jack Rooster si accende una sigaretta mentre è ancora distesa nel letto ad una piazza e mezzo, ripiegando il braccio sinistro dietro la nuca, per sostenerla.

"Mi hanno sparato, parecchio tempo fa."

"Ti fa male?"

"No"

Sente l'odore di legno marcio e di muffa, il tipico profumo dei bordelli in legno e metallo che confinano con la baraccata di Sunset Tower. Espira il fumo e studia le lenzuola, considerando che dovrà passare almeno mezz'ora sotto le docce della Almost Home prima di togliersi di dosso tutto lo sporco. Piega le labbra e cerca il posacenere sul comodino, ciccandoci dentro approssimativamente. Della cenere esce fuori. Lei non se ne accorge.

"Sei mai andata con un uomo?"

"Certo"
"E con una donna? Prima d'ora, intendo"
Jack non risponde. Espira il fumo dalle narici e lancia un'occhiata alla ragazza distesa al suo fianco. Avrà una ventina d'anni, forse venticinque. I capelli di un biondo color paglia, morbidi anche se un po' sporchi. Ha fianchi stretti e seni pesanti. L'ha scelta per i capelli lei, però. Non per gli occhi: ora che li guarda bene, sono di una tonalità d'azzurro privo di qualsiasi intensità. Ha una faccia slavata, delle labbra troppo grandi e dipinte di un rosso troppo acceso che la fanno sembrare una puttana. Chiude gli occhi e scuote appena il capo, ripetendoselo a mente: lo è, una puttana.

"Non ti devi vergognare, qui vengono un sacco di donne che magari non si vogliono far vedere dai mariti. E anche un sacco di mariti, a cercare i ragazzi... è normale"

"E vi pagano anche per stare zitti?"

"Cosa?"

"Perché l'accento di Safeport è una merda, fa male alle orecchie". 

Non osserva nemmeno la ragazza mentre ha il tempo di offendersi. Continua a fumare osservando il soffitto, assente. Si gode quei momenti di silenzio, prima che rinizi a parlare. Ha una voce stridula, pensa. Una voce stridula e fastidiosa.

"Come ti chiami?"

"Non puoi andare via?"

"Il padrone mi picchia se esco prima della fine dell'ora. Io mi chiamo Shoshanna"

"E' quasi come se tua madre avesse saputo che lavoro saresti finita a fare, mh?"

Lascia la sigaretta nel posacenere e si mette a sedere sul letto, riprendendo i primi vestiti. Sente le mani sottili della ragazza poggiarsi sulle sue spalle, il tocco delle unghie lunghe le fa venire i brividi, e non quelli piacevoli. 

"Resta un altro po'... se te ne vai prima il padrone mi batte..."

Chiude gli occhi, irrigidisce i muscoli mentre sente i suoi baci risalirle il collo. Sente quanto il rossetto è appiccicoso, se lo immagina stampato addosso. Scrolla le spalle e si passa una mano là dove è stata baciata, tentando di liberarsene. Non è solo il rossetto. E' l'intera sensazione. La sporcizia di quella maledetta stanza, il profumo dolce e dozzinale che lei le sta attaccando addosso.

"Hai dei bei capelli, lunghi, puliti... posso spazzolarteli se vuoi"

"Non voglio"

"Possiamo rimetterci al letto se vuoi"

"No."

"Resta un altro po'..."

Jack inizia a raccogliersi i capelli dietro la nuca, alza la coda, si cerca attorno il laccio e lo prende, legandoli alti. Si rimette in piedi per rivestirsi rapidamente, dando le spalle a Shoshanna. Non la guarda nemmeno, cupa nello sguardo e nella piega delle labbra.

"Posso chiederti una cosa?"

"Ho come l'impressione che me la chiederai lo stesso"

"Le donne che vengono qui di solito... sono vecchie, o molto molto brutte... tu invece non sembri una che ha difficoltà a trovarsi donne, o uomini, per conto suo..."

"Non ho molta fortuna con gli uomini"

"Che vuol dire?"

Jack si infila la camicia senza ancora abbottonarla, poi i pantaloni. Controlla che i soldi siano ancora nelle tasche, quindi sposta lo sguardo sul cinturone che ha lasciato vicino al comodino. Si china a raccoglierlo stringendoselo in vita ancora prima di essersi abbottonata la camicia. 

"Vuol dire che scappano a gambe levate ogni volta"

"Ogni volta?"

"Ogni volta che stanno con me per un po'"

"E perché?"

Sorride in modo amaro, le palpebre pesanti di tutti i pensieri che quelle domande portano a galla. 

"Mai avuto modo di chiedere"

"Forse non hai ancora incontrato la persona giusta. Basta avere un po' di fiducia, però. Io sono sicura che la incontrerò, prima o poi. La persona giusta, intendo. L'uomo che mi tirerà fuori di qui".

Lei si volta verso la ragazza mentre si sta ancora abbottonando la camicia, la osserva dall'alto verso il basso con un velo di scettico sarcasmo sul viso, una forma di pietà superiore che non arriva ad essere compassione o partecipazione. Abbottonata la camicia, se la infila nei pantaloni. Poi il gilet, infine il browncoat. Controlla le tasche un'ennesima volta, poi prende il rotolo di banconote che ha con sé. Pesos. Conta il giusto concordato e lo lancia sul letto, di fronte a lei, senza la benché minima delicatezza.

"Apri gli occhi, ragazzina, nessuno si prenderà mai una puttana - e lo dice con la massima asciuttezza, senza lasciarsi impietosire dallo sguardo ferito della ventenne - se vuoi una via d'uscita, inizia a risparmiare per comprartela". 

Si mette i pochi soldi che restano in tasca e si volta, dirigendo verso la porte. 

"Aspetta... è tuo questo? Cos'è?"

Si volta, nelle unghie fragili la biondina tiene un pezzo di metallo tagliato con gli angoli smussati, cui è stata applicata una clip. Lei si porta le mani alla catenina militare che ha al collo, da cui si è chiaramente sfilato.

"E' la scheggia di una bomba."

"Oh"

Shoshanna la osserva da vicino, poi la tende cautamente verso Jack per restituirgliela, con delicatezza, come se avesse paura che potesse ancora esplodere.

Jack la guarda. Assottiglia le palpebre per osservarla bene, stringe le labbra. Si ricorda l'amaca a Natale, il libro, la scheggia, il modo in cui si erano stesi insieme a dondolare per mezz'ora prima di andare a mangiare con gli altri. Si ricorda il calore della sua pelle, i muscoli tesi sotto la carne delle spalle, i giorni in cui ancora sorrideva quando la vedeva, tutti i litigi, tutta la rabbia irrisolta, il modo in cui le aveva urlato in faccia vicino alla quercia nera di notte, il mulino, la speranza di poter risolvere le cose, l'impegno preso a risolvere le cose, le parole con cui le aveva chiesto di riprovarci sulla Almost Home, le sue mani sui fianchi, la prima volta che era scivolato nella sua cabina di notte, dopo il turno di sorveglianza, il camino del ranch, le ore passate davanti al portellone chiuso della sala macchine senza avere il coraggio di superarlo e parlare, i silenzi, la durezza delle parole, quella volta in cui si era ubriacata al Crook Saloon e lui l'aveva presa in braccio dicendole che in un'altra vita, magari, l'avrebbe addirittura sposata, il dolore di quell'addirittura, il dolore di dovergli dire vorrei averti conosciuto in un'altra vita, la freddezza in cui demoliva ogni suo slancio, il distacco dei momenti in cui, rassegnato, rifiutava di parlare, le braccia coperte di tatuaggi sottili, il suo modo di fumare senza inghiottire mai veramente il fumo, la sua ostinazione nel non prendere i soldi della Almost Home, i loro stessi passi in cui quasi inciampavano quella volta che andarono verso la sua cabina attaccati, la soddisfazione di risvegliarsi accanto a lui di mattina, quella volta che disse, neanche un mese prima, che già si sentiva il suo uomo, quella volta che lui gli disse che le ricordava sua sorella, le sue labbra tra i denti, gli sguardi severi ogni volta che prendeva una pillola, la sera in cui organizzò una cena con vino e candele nella sua cabina, il modo buffo in cui non sapeva andare a cavallo, la paura di averlo portato alla morte sicura sulla Cecilia Carter, il distacco con cui trattava il resto dell'equipaggio, il gelido calcolo con cui era uscito dalla Almost Home e dalla sua vita. 

"Tienila", le risponde. 

Poi esce e si chiude la porta alle spalle.

you only know what I want you to / I know everything you don't want me to / your mouth is poison, your mouth is wine / you think your dreams are the same as mine / oh I don't love you but I always will / I always will / I wish you'd hold me when I turn my back / the less I give the more I get back / your hands can heal, your hands can bruise / I don't have a choice but I still choose you / I don't love you but I always will / I don't love you but I always will / I don't love you but I always will / I always will / I always will


giovedì 17 maggio 2012

my own kind of outta here


Shadetrack, 2511

Qui non c'è più niente, Jack.

Me ne rendo conto da sola. Mi siedo accanto a lui in riva al fiume nero, proprio come facevo da bambina, e mi chiedo come faccia un mondo intero a cambiare così tanto in così poco tempo. Mi chiedo se esiste niente di veramente eterno, nel 'Verse, e mi chiedo se c'è qualcosa di immutabile, a parte il cambiamento. Ho le labbra secche come il letto del fiume, e gli occhi polverosi come l'aria che respiro, e non sento niente. Da piccola avevo un'amica che sapeva riconoscere il verso di tutti gli uccelli di Madrida. Quando c'era il sole alto ci arrampicavamo sugli ulivi dei Salinas e mangiavamo le olive verdi finché non ci faceva male lo stomaco. Era una bambina allegra e rumorosa, con i capelli castani e le guance piene di lentiggini. Non ricordo il suo nome.

Ho combattuto anche io Jack, qui, a casa nostra. Sei fiera di me? Ho combattuto anch'io. 

L'odore di casa l'ha sempre portato il vento. Allora chiudo gli occhi e inspiro a fondo, e provo a ricordare l'odore del campo di girasoli a sud del fiume, e il sorriso di mia madre ogni volta che ne portavamo a casa un paio, tagliati col coltello, e i polsi delicati di Maryanne quando lanciò il bouquet all'indietro, vestita del suo abito bianco e senza maniche. Immagino l'odore dei suoi capelli appena lavati, il modo in cui se li intrecciava ancora umidi per farli diventare mossi.

Vorrei tornare a prima, Jack, vorrei che mi sposassi e vorrei costruirti una casa a Mexican, e pensare a te quando sono fuori a lavorare, e vorrei conoscere i nostri figli ed insegnare loro a cavalcare.

Sono anni che non monto su un cavallo. Solo camionette militari pronte a portarci all'ennesimo fronte, all'ennesima prima linea, all'ennesima trincea che non supereremo mai, in cui ci lasceranno senza ordini e senza direttive ad affrontare le bombe con un paio di mitragliatrici di vecchia generazione. Ci lasceranno lì di nuovo, e sarà Cain che dovrà stringere le spalle ai soldati più giovani e dire loro che siamo troppo dannatamente belli per morire, che c'è solo una cosa che dici alla morte, ed è non oggi. Ci lasceranno a guadagnare col sangue ogni metro fuori dalle trincee, e dopo quelle trincee ce ne saranno altre da conquistare, ma non importa, perché anche se nessuno ce l'ha mai detto, adesso so che abbiamo perso, e che ognuna di quelle cariche è stata inutile, e che tutti i morti delle linee offensive spartane sono morti intuili, e mio fratello anche, e mio zio e mia madre, e il fratello di Chris.

Ma non potremo più, non è così? Sono felice che almeno tu sia viva. Non pensavo che ti avrei più rivista. Lascerò Shadetrack, presto.

Chris, la sua voce era diversa. La voce del ragazzo è diventata quella di un uomo stanco, con gli occhi segnati dalle rughe e gli occhi opachi, che non sorride. Mentre lo guardo in faccia mi rendo conto che sembra una persona diversa, senza il sorriso sulle labbra, e che io sono una persona diversa, con le mie nuove cicatrici e il mio cuore spezzato. Così quando lo abbraccio, abbraccio un estraneo, e quando lui mi accarezza i capelli, accarezza i capelli di una sconosciuta che condivide la sua miseria. 
Dovresti andare anche tu, Jack, farti una nuova vita. Resterò per seppellire Cain, per mettere dei fiori sulla tomba di Raul. But as soon as the sun rises, Jack... I'm outta here. 


martedì 15 maggio 2012

my own kind of gift


"Su questo ha ragione, miss Ross: non c'è pace"

Un omaggio.


(A Roonamei ho regalato un libro. E' una favola antica, parla di un gabbiano che non si accontenta di aprire le ali solo per planare sull'acqua e afferrare il pasto, ma che vola per superarsi, e inciampa mille volte sulle sue ali, e viene allontanato dal suo stormo, e va lontano per imparare la perfezione, e poi torna per insegnarla, e poi va in un luogo simile al Paradiso come lo immagino io. C'è una cosa che dice il gabbiano. Dice: l'unica vera legge è quella che ci rende liberi. Era la favola preferita di mia madre. A volte mi chiedo se non sapesse già tutto.)

The only true law is that which sets us free. 


sabato 12 maggio 2012

my own kind of wild




Sono cresciuta in mezzo ai cavalli.
Erano il mezzo più economico di trasporto, il modo più veloce per correre su gambe non proprie, l'intrattenimento durante i rodei. Sam mi insegnò a montarli e a cavalcarli, a costo di cento impennate e altrettante cadute. Mi insegnò a restare in sella nelle situazioni peggiori, mi insegnò che  nelle praterie il mio cavallo era tutto ciò che avevo, che calato il sole e deciso il posto dove dormire, il cavallo doveva essere il primo a mangiare, a bere, a riposarsi. Devi trattarli bene i cavalli, o ti disarcioneranno sempre.

I cavalli erano anche i selvaggi. Quando ero bambina, io e gli altri ragazzi di Madrida andavamo ogni domenica alla Valle de la Viuda. Ci sedevamo sulle pietre di fronte al ruscello e guardavamo dall'altra parte i ragazzi più grandi sfidarsi a catturare i selvaggi, per portarli a casa e piegarli ad essere domati. Ne ho visti a centinaia di cavalli domati, in vita mia. Il primo di mio fratello fu un palomino femmina, una puledra forte come un gigante che lo disarcionò quattro volte prima di piegarsi. Il mio primo fu a diciassette anni. Il suo nome era Yiska, era un baio catturato dai Barclay sulla strada da Mexican. Un solitario.

Lui lo incontrai appena compiuti i vent'anni. La sua mandria si era spostata dalle pianure a sud, scacciata dai cantieri per il prolungamento della ferrovia. Era un moro con lo zoccolo duro più della roccia, testardo e dominante, inafferrabile come il vento. Lo chiamavano tutti Comanche, il cavallo pazzo. Ci misi un mese intero a farlo abituare alla mia vicinanza senza che provasse a calciarmi. Ogni giorno scendevo alla valle e mi chinavo nell'erba alta, lasciando che mi vedesse più piccola di quanto fossi, che iniziasse a non percepirmi più come un pericolo. Agitavo il lazo in aria senza lanciarlo, così che facesse l'abitudine al movimento delle mie mani. Il giorno che tornai con Cain, ci misi ore ad avvicinarmi abbastanza da lanciare il lazo. Sapevo che avevo una sola possibilità e ce la feci. Se Cain non avesse azzeccato il suo colpo, Comanche mi avrebbe probabilmente travolto e uccisa.

Lo portammo al recinto di Howles, insieme agli altri. Ricordo il modo in cui si agitava nel box prima di uscire, i nitriti di quando gli assicurammo la corda attorno al collo. Cain, lo ricordo ancora, mi disse di lasciar stare, di far provare a qualcuno con più esperienza. Chris Barclay si tolse il cappello, me lo porse, e disse con quel suo sorriso splendido e quella sua faccia da schiaffi che si sarebbe sacrificato per me. Io lo spintonai dal recinto e gli lanciai addosso il suo cappello. Poi mi arrampicai e mi misi sul dorso del moro. Ricordo la tensione dei suoi muscoli tra le mie gambe, quell'attimo di attesa e sospensione in cui il cuore ti si ferma un attimo, e sai che è troppo tardi per scendere. Ricordo l'attimo di tranquillità nel suo respiro, come se avesse capito esattamente che avrebbe avuto la sua chance di vendicarsi da lì a poco tempo.

Ero impreparata. Ricordo come nitrì imbizzarrito, come si piegò su se stesso saltando verso l'alto. Ricordo come girò su se stesso e poi cambiò direzione all'improvviso, per farmi adattare e poi ingannarmi. Ricordo il salto con cui mi disarcionò. La fitta alla testa e i suoi zoccoli sul petto, l'impressione di respirare polvere un secondo, di non respirare per niente l'attimo dopo. Ricordo la rabbia di Comanche, il modo in cui sapeva che ero il suo nemico. Avrei dovuto aspettare anni, prima di capirla interamente.

Cain fu il primo ad arrivare, mentre il maggiore dei Barclay agitava le mani per scacciare il cavallo. Penso di essere svenuta e di essermi risvegliata più volte nel giro di pochi minuti. Mi ricucirono la ferita alla testa, mi fasciarono il busto dicendo che ci sarebbe voluto un po'. Passai una settimana senza riuscire praticamente a montare a cavallo, un mese ad osservare Comanche dal recinto, a sentire il costante battito dei suoi zoccoli contro il legno, la costanza con cui provava a demolire ogni barriera per essere lasciato libero. Passavo le ore nella stalla di Howles a fissarlo, a contare i giorni.

Il giorno che uscii per andare a provarci di nuovo, litigai con Cain. Si mise di fronte alla porta rifiutandosi di farmi passare, urlandomi in faccia che a questo giro quel selvaggio mi avrebbe ucciso, che non mi bastava una cicatrice sulla tempia per sempre, le costole ancora non del tutto rinsaldate? Arrenditi su questo cavallo, cub. Questo cavallo non è per essere domato.

Mia madre ci sorprese mentre avevo le mani sulla sua faccia, tentando di spingerlo abbastanza di lato da aprire la porta il minimo indispensabile per uscire. Ci guardò col suo sguardo severo, guardò Cain e disse: "tua sorella è un'adulta". Disse: "tua sorella farà le sue scelte, e tu non hai alcun diritto di farle cambiare idea". Lui imprecò così forte che lei ci cacciò di casa entrambi, io ebbi ciò che volevo: la possibilità di domare finalmente Comanche.

Se ne era parlato così tanto, che mezza Madrida mi stava aspettando fuori dal recinto grande, quando arrivai. Tutti i miei amici, tutti gli amici di mio fratello e mia madre, tutti gli amici di mio zio Sam. C'erano Raul, Dale, Rick, Diego, le sorelle Gonzales, anche Chris, Cain che mi aveva seguito. Ci vollero tre uomini solo per portarlo nel box, e quando salii sulla sella, sentii che mi avrebbe disarcionato di nuovo, se non fossi stata diversa. Lo accarezzai sul collo, mi abbassai col busto, chiamai Chris. Gli dissi di legarmi le gambe alla sella e al cavallo. Non ho mai visto due occhi farsi così grandi.

I ricordi che ho dei momenti successivi sono confusi. Ricordo di aver pensato che, se domato, Comanche sarebbe potuto essere uno di quei cavalli agili e veloci. Ci sono cavalli agili, in grado di fare decine di cambiamenti di direzione in pochi istanti, e ci sono i cavalli veloci, che corrono come il vento in linea retta. Ci sono pochi cavalli agili e veloci. Ricordo il colpo del dorso verso l'alto, le mie ginocchia che premevano contro i suoi fianchi, le mani strette alle briglie il più vicino possibile al morso, per costringerlo a risentire di ogni sfrontatezza. Il rumore degli zoccoli non ferrati, il nitrito chiaro e selvaggio della sua rabbia. Ricordo che si buttò di lato un paio di volte, crollandomi sulle gambe, e che ogni volta dovette tirarsi in piedi mentre ero ancora in sella. Ricordo di aver pensato che fosse la battaglia della mia vita, il nemico della mia vita, in un tempo in cui non sapevo ancora cosa fosse una battaglia o un nemico.

Andò avanti così per un tempo interminabile. Così tanto che mi abituai al suo ritmo, che la schiena e le gambe smisero di farmi male, che smisi di chiedermi se avrei mai potuto rilassare i muscoli di nuovo. Ma sapevo che si sarebbe arreso, presto o tardi. Sapevo che tutti i cavalli hanno un limite oltre il quale smettono di combattere, oltre il quale sono domati. Sapevo che mancava poco. Sapevo che non potevo smettere di farmi sbalzare ovunque perché era esausto, e mancava così dannatamente poco.

Poi sentii il nitrito finale, vidi come girò innaturalmente la testa per osservarmi in uno slancio disperato, il bianco dei sui occhi e i suoi denti scoperti. Si impennò senza cercare poi il terreno con gli zoccoli. Cadde all'indietro, io caddi con lui e sentii il rumore delle costole ancora fragili fratturarsi di nuovo, il respiro mancarmi. Accorsero Cain e Chris, mi slegarono le gambe e mi sfilarono via dai suoi fianchi mentre io lo fissavo col respiro rotto e il dolore annidato nell'umidità degli occhi.

Comanche non si era arreso. Comanche aveva raggiunto il suo limite e l'aveva saltato, preferendo morire stremato che vivere il resto della sua vita con una sella sul dorso.

Comanche aveva preferito morire a farsi domare.







giovedì 3 maggio 2012

my own kind of will you marry me




2506, Shadetrack

Jack Rooster è una ragazza di ventiquattro anni stesa sotto il sole. Sente la freschezza dell'erba su una schiena sudata e bollente, chiude gli occhi e schiude le labbra, per riprendere il respiro e regolarizzare il battito. Accanto a te si butta un ragazzo castano e con le spalle larghe di chi oltre a darle le prende spesso. Si chiama Cristobel Barclay, conosciuto anche come Chris o "il maggiore dei Barclay". Ha la pella cotta dal sole, come ogni cowboy che si rispetti, tutti i denti in bocca, un velo di barba che si confonde ad un sorriso pieno, soddisfatto, arrogante. 

"Mi giri un po' di bloom?"
"Sissignora"

Chris resta steso accanto a lei, abbastanza vicino da sfiorarla solo con un braccio, in un contatto casuale e disteso. Fatto lo spinello, lo porge a lei che se lo mette tra le labbra. Piega un braccio e gli bussa con le nocche sul petto per farsi passare i pantaloni in cui tiene i fiammiferi. 

"Quindi partite sia tu che Cain?"
"Aye"
"Già sapete in che reggimento vi mettono?"
"Il settimo o il sesto, non è ancora chiaro. Stanno avendo qualche problema di organizzazione"
"Uno lo dovrebbe mettere in conto quando unisce duecento diversi eserciti in uno solo, no?"
"Sai come si dice, la guerra non la fanno i comandanti..."

Chris rotola verso di lei girandosi sulla pancia, poggia gli avambracci a terra e solleva la schiena, così da guardarla direttamente in viso, da una posizione appena rialzata. Un vento leggero si infila tra i suoi ricci castani, ai lati dei suoi occhi che non conoscono ancora rughe, tra le dita delle mani piene di calli.

"E chi è che la fa, allora? La temibile doppietta Rooster?"

Jack espira il fumo e ride piano, si porta un braccio dietro la nuca per sostenersi. 

"Non c'è verso di convincerti a partire con noi, ah?"
"E chi porta il pane a casa mia, poi? Raul è in partenza pure lui, e quell'idiota di Javier non ha intenzione di smettere di invecchiare..."
"In qualche modo possono fare, tua madre se la cava con lavoro da sarta, o no? Sei una buona pistola. Saresti utile"

Chris ride più forte, sfila lo spinello dalle dita di lei e se lo mette tra le labbra, ben sapendo che Jack Rooster condivide raramente. Poi si china sul suo viso e la bacia, a lungo e intensamente, poggiandole su un fianco nudo la mano che tiene ancora il joint. Quando la sente sorridere di nuovo, lui fa lo stesso, tenendosela vicina per parlarle sulle labbra.

"Potresti restare anche tu - le fa scivolare una mano sul viso - e potrei fare di te una donna onesta"

Jack sbatte le palpebre, si irrigidisce appena e si tira indietro col busto, perplessa.

"Scusa?"
"Ah, non temere, l'ho pensata meglio di così - risponde il maggiore dei Barclay, staccandosi momentaneamente da lei per prendere il suo gilet. Ne estrae un fazzoletto sottile che srotola - forse avrei dovuto aspettare che ti rivestissi, ma... quando la racconteremo, diremo che eravamo vestiti. E che non stavamo fumando erba".

Jack solleva il busto mettendosi a sedere, scrolla poi i lunghissimi capelli che, anche in quella posizione, riescono a sfiorare il terreno. Osserva il ragazzo che ha davanti mettersi in ginocchio e porgerle un anello sottile, con un piccolo diamante in cima. Lo vede indossare la sua faccia da schiaffi usuale, quell'espressione ammiccante di chi non si prende mai sul serio. 

"Jack Rooster... vuoi sposarmi?"

Jack Rooster, dal canto suo, si massaggia la nuca a disagio.

"Hai sbattuto la testa molto forte, Chris?"
"Ooh avanti, come se non ci avessi mai pensato. Andiamo avanti così da quasi un anno, ormai... non litighiamo mai, e so tutto di te... e non ti chiederò neanche di smettere di lavorare, se non vuoi. E con tutti quelli che stanno partendo, di lavoro ce ne sarà parecchio... potremmo trasferirci a Mexican, e continueresti a poter venire a trovare i tuoi..."
"Chris... sto partendo per il fronte..."
"Be'... - Chris solleva le spalle continuando a tenere quell'anello sospeso a mezz'aria - non partire..."
"Mi sono arruolata... ho intenzione di partire, lo sai che ce l'ho".

Lei si alza in piedi, adesso sembra infastidita. Va a recuperare i suoi vestiti e li indossa con una certa fretta. Chris resta lì ancora qualche istante, stordito, poi si rimette in piedi e la raggiunge, cercandole i polsi.

"Ascolta... d'accordo."
"Ah?"
"D'accordo, l'ho capito, devi partire... d'accordo, ma... la proposta è ancora valida..."

Le prende la mano sinistra e la solleva fino al proprio viso, vi poggia sopra le labbra e poi, lentamente, le infila quell'anello.

"Quanto durerà, qualche mese, un anno? Vai in guerra, se per te è importante... quando ritornerai, ci sposeremo"

Lei inspira a fondo, solleva lo sguardo su di lui, indagandolo.

"Ci devo pensare"
"Pensaci, allora. Ma questo tienilo - le comunica riacceso, afferrandola quindi per la vita e tirandosela contro - ancora arrabbiata con me?"
"A-ah"
"Facciamo pace?"



Sunset Tower, maggio 2514.
Alcol. Buio. Non sento la terra sotto i piedi.
"Avrei voluto conoscerti in un'altra vita"
"In un'altra vita ti avrei anche sposata, magari"



mercoledì 2 maggio 2012

my own kind of prayer


Sto cercando. 

La cercherò fino ai limiti di questo fotutto 'Verse, se necessario. 

Ho bisogno di pensare che la ritroverò. Perché se è persa, è persa per colpa mia, che non l'ho fermata quando ancora ero in tempo, a costo di legarle mani e piedi e buttarla in uno scantinato fino a farla rinsavire.

Devo trovarla.

Devo trovarla viva. Non c'è tempo. Non c'è più tempo.

Pensavo di aver visto il suo pod espulso. L'ho visto davvero? Più ci ripenso meno sono sicura. Forse ho visto ciò che volevo vedere. Lo spazio nero inganna il mio sguardo.

Potrebbe essere ovunque.

Potrebbe non essere da nessuna parte.

Se ritrovo lei la smetterò. La smetterò di complicarmi la vita, di avere gli occhi rivolti indietro. Guarderò solo avanti, lo giuro. Davanti a Dio, davanti a questo fottuto universo infinito, se ritrovo Eir Sterling non mi lamenterò più una singola volta in vita mia, mai più.

E se non la ritrovo.

Se non la ritrovo giochi chiusi. Non posso sopravvivere ad un'altra perdita.

Non posso sopravvivere a lei.