venerdì 23 dicembre 2011

my own kind of distance


Fort Brennistas. « ripete quel nome a mezza voce, più roca di prima » tuo nonno è morto a centoventi miglia da casa mia.

... E a più di ottanta parsec da casa sua.



Proprio come me.
Anche quando lo dice uno sconosciuto, soprattutto se lo dice uno sconosciuto...
certe cose fanno più male di cento coltellate in pieno petto.



giovedì 22 dicembre 2011

my own kind of keeper



Tengo gli occhi socchiusi mentre provo ad addormentarmi, in modo da non potermi scordare che dopo le mie palpebre c'è la luce.

Scivolo in un ricordo pieno di vento. Mi stringo in un cappotto imbottito di lana e insieme a mio fratello procedo verso la grande casa di legno in cui siamo cresciuti. Sono felice e impaziente, ho i capelli legati e gonfi di umidità. Una pioggia leggera e piena di lame mi cade sul viso senza darmi fastidio. Sto ridendo di qualche battuta. Accelero il passo per il freddo.

Penso di bussare alla porta, ma a tre metri dal portico la porta si spalanca e ne esce mia madre, che si pulisce le mani sporche di farina su un grembiule macchiato. Sorride anche lei. Cain mi precede e le va incontro. Mentre la abbraccia, io faccio i primi gradini.

This house
she creeks and moans
she keeps me up

Il legno scricchiola sotto i miei piedi. Salgo le scale senza fretta, stanca, e spalanco le braccia per stringere mia madre. Lei mi batte sulla spalla, poi mi prende il viso con le mani ancora pallide e mi bacia su entrambe le guance.

This house
she's quite a keeper
quite a keeper

Mi sveglio con l'odore della farina nelle narici, ma con calma, senza sobbalzare mentre apro gli occhi. Sento un nodo alla gola, e lo ingoio. Chiudo gli occhi di nuovo, sperando di tornare nello stesso sogno.



mercoledì 14 dicembre 2011

my own kind of breath



Un respiro profondo.

Mi sono sentita mancare il fiato, per un istante. Era come se avesse colpito il giubbotto con tanta forza da farmi rientrare il kevlar nella cassa toracica. Sono caduta a terra, con quel passamontagna che mi impediva di incamerare l'aria fresca pompata dai sistemi vita della Almost Home. E mi è tornato in mente cosa diceva mia madre quando ero nervosa, o quando mi facevo male.

Un respiro profondo.

Era una donna dura, mia madre. Crebbe mio e mio fratello da sola. Non so perché non si sia mai sposata: da giovane, ancora lo ricordo, era una ragazza splendida. Quando io e Cain eravamo piccoli ebbe anche attorno un paio di pretendenti. Il primo era un ragazzotto di Indira, abbronzato e con un sorriso bianco, la barba che gli cresceva a macchie. Quando avevo sei anni, però, mi ricordo un altro uomo: Don. Don era un uomo vero, me lo ricordo: un signore con una barba folta e brizzolata di una quarantina d'anni, con una schiena ancora buona e un lavoro dignitoso. Gestiva una piccola fattoria col sudore della fronte. Sembravano stare bene, insieme. Quando lui era in giro, lei sorrideva sempre. Aveva poco più di trent'anni allora, e il suo sorriso era raro, ma anche splendido. Don la rendeva rilassata, la faceva abbandonare ogni tanto a se stessa, le faceva godere un minimo una vita che per lei era sempre stata fatta di lunghe ore di lavoro. Se la cavava anche con noi, Don: mi ricordo i regali che mi faceva per Natale e per il compleanno, il modo semplice che usava per spiegare le cose complicate, le sue mani robuste che mi aiutavano a salire sul mio primo cavallo. Non era zio Sam, non era neanche mio padre. Ma per un po' fu qualcosa che vi si avvicinava molto.

Un respiro profondo.

Non si sposarono mai, e dopo un po' Don non si fece più vedere. Non ho mai saputo perché mia madre rifiutò la sua offerta, ma ho sempre avuto un'idea. Era un uomo all'antica, di quelli che volevano provvedere alla propria moglie, alla propria famiglia, senza fare alzare loro un dito. Mia madre non era così, non era per quella vita: era una donna indipendente, che lavorava sodo e che non ammetteva che nessuno dicesse una singola parola di critica su come educava i suoi figli. O forse, dopo tanto tempo passata da sola, ci aveva semplicemente fatto l'abitudine. Quando ero più giovane volevo essere come lei. Volevo stare da sola, non volevo legami, non volevo nessuno che mi dicesse, o che solo mi suggerisse cosa fare, o che volesse avere una parola nel modo in cui conducevo la mia vita.
Poi la guerra ha cambiato tutto. Come se in un solo colpo avesse spazzato via la speranza di avere una vita normale, una relazione duratura, un vero tetto sulla testa, un lavoro onesto e qualcuno da cui tornare a casa la sera. John non l'ha mai capito. Non ha mai capito che la mia rabbia non veniva dall'avere gli occhi puntati al passato, ma dal non riuscire più a vedere avanti a me. Niente che mi piacesse, almeno. Niente che non sembrasse solo una bugia, un'imitazione squallida della vita che avrei potuto avere se avessi messo qualche soldo da parte, se avessi trovato la persona giusta, se i miei cari non fossero mai morti.

Un respiro profondo. Ogni volta che mi sbucciavo un ginocchio, che mi facevo male. Lei non mi aiutava ad alzarmi. Mi guardava soltanto con quegli occhi intensi che aveva, dicendomi: "un respiro profondo". Era il suo modo per evitare che piangessi, che dessi troppa importanza alla caduta, che mi dimenticassi che potevo rimettermi in piedi con le mie sole forze.

Forse l'ho fatto. Ho trovato la Almost Home, che è quasi una casa, il mio equipaggio, che è quasi una famiglia. Un lavoro quasi onesto, un uomo quasi giusto.

Un respiro profondo.

Vorrei non sapere come questa vita andrà a finire. Vorrei non sapere che c'è un proiettile col mio nome sopra, da qualche parte del 'Verse, che prima o poi mi strapperà via anche questo quasi-futuro che mi sono costruita.

lunedì 28 novembre 2011

my own kind of darkness

Hello darkness my old friend
I've come to talk with you again


Una volta amavo il buio.
Amavo il buio perché mi permetteva di vedere il cielo, con un milione di stelle e l'universo che si apriva ai miei occhi come una promessa. Quando ero ancora a casa, a Shadetrack.

Because a vision softly creeping
left it's seeds while I was sleeping

Poi, durante la guerra, l'oscurità era l'unico modo per salvarsi. In trincea anche accendersi una sigaretta vuol dire rischiare la vita, e lo facevamo con gli stivali impantanati fino alle caviglie, quando una sigaretta era l'unico modo che avevamo per riscaldarsi.

And the vision that was planted in my brain
still remains, within the sounds of silence

Ma dopo Serenity Valley... sette notti, sette tra la fine delle ostilità e la pace, e quindi i soccorsi. Sette notti a sentire l'odore dei morti, mentre il corpo di mio fratello mi marciva addosso. L'oscurità erano incubi e lacrime, il mio stesso sangue che mi si incrostava sotto le unghie. Penso di aver vomitato anche l'anima, quelle notti insonni, vomitavo e passavo il resto del tempo a scacciare le mosche dai miei occhi e dal corpo di Cain. Quando svenivo per la stanchezza e la fame, riuscivo a restare priva di sensi per pochi minuti, prima di essere svegliata dall'odore di putrefazione.

In restless dreams I walked alone,
narrow streets of cobblestone
'neath the halo of a streetlamp
I turned my collar to the cold and damp

Adesso, ogni volta che mi ritrovo completamente senza luce, mi sento morire. La mia testa si svuota, mi si chiude la gola e sento di non poter respirare. Sento che l'oscurità potrebbe inghiottirmi, potrebbe uccidere anche me e rendermi un cadavere in putrefazione di cui nessuno si ricorderà.

Ogni tanto ci penso. Se morissi, adesso, quanto tempo passerebbe prima che le poche persone che conosco si dimentichino di me? Qualcuno prenderebbe la nave, forse il mio equipaggio continuerebbe il lavoro che dobbiamo fare, forse prenderebbero strade diverse. E se morissi distante, mi riporterebbero a casa per seppellirmi, o mi lascerebbero lì dove sono morta, buttandomi addosso una manciata di terra e qualche sasso?

Mia madre diceva che hai vissuto una vita piena quando al tuo funerale piangono in tanti.
Non so che funerale avrò io, quando ce l'avrò. Ma so che voglio ritrovare Anne e Sean, prima di morire. E so che voglio finire sotto la terra di casa mia.

domenica 13 novembre 2011

my own kind of choice


"Capitano... posso?"
"Tenente Rooster. Prego, entri pure"
"Non serve, vado via presto. Volevo solo ringraziarla"
"Di che?"
"Di tutto... per avermi aiutato a portare mio fratello di nuovo qui a casa, e... per essere rimasto al funerale, immagino. Lei e tutto l'equipaggio. La ringrazio."
"Non devi. Del resto, penso abbia significato molto anche per loro. Quasi nessuno ha avuto modo di riportare i propri morti a casa, e riuscire a portarne almeno uno..."
"Sì, be'. Comunque."
"Cosa pensi che farai adesso?"
"Non so. Qualcosa, immagino. Aspetterò qua."
"Shadetrack è distrutta, ormai, tenente."
"Lo so, ma magari qualcuno tornerà..."
"Fossi in lei, non ci spererei troppo. I campi sono distrutti, i pascoli... anche. Lei che faceva, prima della guerra?"
"Spostavo mandrie"
"Non ci sono più mandrie da spostare, qui"
"Già, forse ha ragione, ma... troverò qualcosa, non penso di avere troppe scelte"
"Se vuoi, puoi imbarcarti con noi"
"Con voi?"
"Aye, con noi. Ci terremo la Bastarda Fortunata... è un bel cargo, vecchio ma ancora in grado di volare. Con una nave è più facile trovare un lavoro. Se vuole, una pistola in più ci farebbe comoda"
"Non so, dovrei cercare chi resta della mia famiglia"
"Lo potrà fare mentre lavora per me"
"..."
"Pensaci, Rooster. Prevedo tempi duri per la nostra gente. Quando arriveranno, sarà meglio per tutti non stare da soli"

* * *

"Pensi mai alla guerra, John?"
"Tutte le notti. A volte non mi addormento per pensarci. Ho la sensazione che mi buchi la testa, da parte a parte. A volte... penso che ci sarei dovuto morire. Che mi sarebbe andata meglio così"

* * *

"Questo dannato gesso..."
"Jack."
"Uh? Mi parli di nuovo, adesso?"
"Devo, e sarò breve. Ciò che è successo non è accettabile"
"Non è colpa mia, e Nadia sta bene, no?"
"Sta bene per puro caso, avresti potuto farla finire ammazzata."
"E' solo un graffio..."
"Jack, io ho delle responsabilità. Parlando con te, sentendoti parlare della tua famiglia, pensavo che capissi cosa significa per me questa nave, che responsabilità porta. Sono il capitano, vuol dire che ho preso un impegno. Di far sopravvivere tutti, e di tenerli al sicuro"
"Me compresa?"
"Sei una donna adulta, e ti lascerò fare le tue scelte"
"Pensavo che almeno tu lo capissi, cosa vuol dire avere quei fottuti stronzi davanti a sputare in faccia a tutto ciò per cui hai..."
"Smettila. Abbiamo combattuto tutti noi la guerra, e tutti noi l'abbiamo persa. Sei l'unica che non si è ancora rassegnata"
"Non vedo perché dovrei farlo"
"Te lo do io un buon motivo: o fai pace con te stessa, Jack, o devo chiederti di lasciare la mia nave".
"... non posso credere che tu mi stia facendo questo..."
"Io ti sto solo dicendo di scegliere. Se preferisci tenerti quel fottuto verme che ti mangia da dentro, piuttosto che restare qui, allora la scelta l'hai già fatta."

* * *

"Allora. Ti ho deluso?"
"Come nessun altro in vita mia"
"Mi dispiace."
"Che farai?"
"Non lo so. Continuerò a vivere, immagino"
"Ti augurerei di iniziare a vivere bene, ma..."
"Chi prendiamo in giro, John? Mio fratello è morto, mia madre e mio zio sono morti. Tuo figlio è morto, tutti quelli che conoscevamo sono morti o dispersi. Credi di poterlo cambiare, di poter essere felice dopo quello che ti hanno fatto?"
"Essere sereno mi basterebbe"
"La serenità l'abbiamo lasciata tutti a Serenity Valley. Mi rimproveri di essere ancora arrabbiata. Lo so, lo sono... ma non sono io quella strana, John. E' giusto esserlo. Non voglio mai smettere di esserlo. Del resto, non possono portarmi via più molto"
"Non mi resta che augurarti buona fortuna, allora"
"Buona fortuna a te."

giovedì 10 novembre 2011

my own kind of skin


Sulla mia pelle ho sentito tutto.

Ho sentito il freddo delle praterie d'inverno, quando non hai nemmeno una tenda che ti ripara dal vento. Il freddo lento, dei momenti in cui a casa non avevamo più soldi per la legna quando ero piccola, quel freddo che ti penetra gradualmente nelle ossa e le rende più fragili.

Ho sentito, sulla mia pelle, il calore della mia casa che bruciava, le guance che mi scottavano perché non volevo allontanarmi troppo, come se la mia presenza potesse calmare le fiamme. Ho sentito il sudore del ricostruire quella casa. Ho sentito la paura, quella autentica, la paura di morire quando di vivere ancora mi importava qualcosa, ho sentito il manto dei cavalli selvaggi e le vibrazioni dei loro nitriti. Ho sentito sulla mia pelle le vibrazioni del terreno al passaggio dei bombardieri, ho sentito le schegge lanciate dalle bombe, la polvere mischiata al sangue. Ho sentito sulla mia pelle la pelle di mio nipote quando era appena nato, con quegli occhi di colori diviersi in grado di aprirti dentro un mondo.

Ho sentito la morte. O comunque qualcosa che vi si avvicinava molto.

Ora sento un tepore diffuso e un brivido insolito, inatteso ma piacevole. Chiudo gli occhi per trattenere la sensazione, perché non so quanto durerà.

Se c'è una cosa che la guerra mi ha insegnato, è di tenerti stretto tutto ciò che hai, che possiedi. Quello che oggi è tuo, diceva John Cassidy, domani potrebbe diventare di qualcun'altro.

"That's how this big damn' 'Verse works, Jack: you never get what you deserve"

venerdì 4 novembre 2011

my own kind of pronouncement

Non ho abbandonato nessuno.

Non ho mai abbandonato nessuno in vita mia, ma Scott non è mio fratello, non è mia madre. Non posso aiutarlo in una missione suicida contro questo tale Ekleston se non può neanche dirmi il motivo per cui vuole prenderlo, o ammazzarlo, o interrogarlo. Non posso dirgli che lo aiuterò con la certezza che moriremo ammazzati. Non c'è tradimento, in questo, non devo sentirmi in colpa. Non ne ho motivo. Voglio rischiare la vita solo quando sono assolutamente sicura che ne vale la pena.

"Sei solo quando decidi di esserlo. E non ti aiuterò a farti ammazzare"

giovedì 3 novembre 2011

my own kind of justice

A nove anni vidi il primo condannato a morte. Ero a Mexican, sfuggita al controllo di mio zio impegnato in una vendita di cavalli. L'uomo sulla forca aveva un aspetto vecchio: capelli e barba ingrigiti, qualche dente mancante, uno sguardo opaco. Le sue ultime parole, prima che aprissero la botola sotto i suoi pedi, furono: "se potessi tornare indietro, ammazzerei quel bastardo altre cento volte".
Ripensandoci, più avanti, decisi che la vendetta non avrebbe mai dovuto guidare le mie azioni. Cos'è che mi muove adesso non mi è molto chiaro, ma sono abbastanza sicura che la sparatoria di ieri non avesse niente a che fare con la vendetta. Non per me, almeno.

Era vendetta per la Winter, forse: Randolph è riuscito a farle perdere quello sguardo distaccato e inespressivo che ha di solito, mettendole in gola una buona dose di rabbia: abbastanza da commissionare un omicidio, almeno. Un eccidio, lo chiamano.

Era vendetta per Buck. Il ranch è casa sua, i lavoratori del ranch la sua famiglia: se i luddisti avessero ammazzato un membro della mia, di famiglia, non avrei esitato un istante a portarmeli tutti all'inferno, ad ogni costo.

Era vendetta anche per la ragazzina, quella Summer Cotton, con la paura che le si sentiva sulla pelle e una pistola troppo impegnativa per lei tra due mani che hanno smesso di tremare solo per un brevissimo istante, l'unico istante che le serviva per premere il grilletto e centrare uno dei seguaci di Randolph.

Probabilmente era vendetta anche per Jim, pagata al prezzo di un dardo conficcato nella spalla che però non ne ha compromesso l'animo e la capacità di sparare.

Non per me, comunque.

Per me era Giustizia. La Giustizia più antica del mondo, quella che vuole vite in cambio di vite, equa e retta. Era protezione: Buck, o Jim si sarebbero potuti trovare in quel capanno esploso al posto dello sconosciuto che ci è morto dentro, e di cui adesso restano solo le ossa bruciate.

Nonostante ciò, ho questa sensazione di cui non riesco a liberarmi, questo peso sullo stomaco, questo freddo sulla pelle che ho dai tempi della guerra, e che mi torna addosso ogni volta che uccido qualcuno. La sensazione di star sbagliando, in qualche modo. La paura, il terrore di essere nel torto, di aver fatto male i calcoli, di aver ammazzato delle persone innocenti, o comunque non completamente colpevoli.

So che non è così, che non è questo il caso. Ma mi è già successo prima d'ora. Mi è successo in guerra e mi torna in mente ogni singola volta che chiudo gli occhi, che sbatto le palpebre. In ogni momento di buio mi torna addosso, insieme a tutto il resto.

Ho ammazzato due preti, comunque, insieme agli altri. Due preti assassini a loro volta, ma due preti.

Dio non deve avermi molto in simpatia, in questo momento.

domenica 30 ottobre 2011

my own kind of broken promises


"Tu sei proprio un tipo, mh?"
"Dici?"
"Biondina, faccia pulita, modi gentili, un angelo caduto dal cielo. Ma te lo devo dire, miss Longbaugh, noi Rooster non ci facciamo mettere le briglie dai primi occhioni castani che incontriamo"
"Non mi aspettavo che uscire con tuo fratello significasse uscire con tutta la famiglia"
"Cain si lascia trascinare, ma io ti osservo, Maryanne. Sai come si dice: cosa non si fa, per la famiglia..."
"Di che ti preoccupi, allora? Con te nei paraggi tuo fratello è al sicuro. E io... sarò nata bionda, ma ho dei progetti, progetti per me stessa. E nessuno che mi ha sottovalutato ha mai avuto ragione"
"Lo vedremo, angioletto. Ma te l'ho detto: occhio. Cain sarà pure perso per te, ma io ho le orecchie dritte. E non mi lascio incantare. "

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"Jack! Gliel'ho chiesto!"
"Gliel'hai chiesto?"
"Gliel'ho chiesto!"
"Oh. Oh! E... che ha risposto?"
"Ha detto sì!"
"Ha detto sì?"
"Aye, te lo devo ripetere?"
"Tu ti... ah, ti sposi. Santo dio, Cain, sono... congratulazioni, per l'inferno, bravo, cioè, bravi. Non ci posso credere che... ah!"
"Non odiarmi, sorella: tu e mamma non potevate restare le uniche donne della mia vita, eh. Ma ti giuro, mi impegnerò a far nascere un maschio, a tempo debito"

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"Cain mi ha detto che vi sposate"
"Ti ha detto bene"
"Be'. Brava. Niente più università nel Core, quindi?"
"Immagino di no. Perché lo chiedi?"
"Non so, ne parlavi tanto. Parlavi sempre di andare a studiare lì, di fare ricerca medica. Ti lamenti sempre che qui la gente ti chiama solo per far partorire le vacche"
"Lasciami stare, Jack"
"Non volevo..."
"Cain è un bravo ragazzo, è buono e generoso e io lo amo. Sarà un padre splendido, quando decideremo di avere dei figli. E per quanto tu possa fare io non"
"Io non..."
"Lasciami stare, Jack."

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"Se mi succede qualcosa..."
"Non ti succederà niente, Cain"
"Se mi succede qualcosa, devi prenderti cura della mia famiglia. Promettimelo."
"Cain, tu..."
"Devi prenderti cura di Maryanne e di Sean, Jack. Promettimelo"
"Te lo prometto".

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"Devi riportarmelo a casa, Jack"
"Te lo prometto"
"Non prometterlo, fallo e basta"


domenica 23 ottobre 2011

my own kind of what-you-deserve

Più lo incontro, più ci penso.
Penso che potrei cercare chi ama e fargli del male, e costringerlo a guardare, e poi ucciderli, e poi farlo soffrire e poi uccidere anche lui, ma lentamente.

Mi addormento sul pensiero, e la mattina quando mi sveglio penso che non sono io, che ero ubriaca, che non lo farei.

Ma la sera arriva sempre, e non posso fare a meno di pensare che la legge più antica dell'universo è quella del taglione.

Conosco una ballata. Diceva: "you never get what you deserve".

You never get what you deserve, not you, no.

Ed è la storia degli ultimi dieci anni della mia vita: ho vissuto vent'anni facendo la cosa giusta. Quando è arrivata la guerra sono andata a combattere, per proteggere chi amavo.

Ho perso tutto. E, Dio...

non me lo merito.

sabato 22 ottobre 2011

my own kind of philosophy



" E' una ballata che parla di questo tizio che sta morendo, e chiede di non essere sepolto nelle praterie. Vuole finire sotto terra dietro una chiesa, in qualche posto dove poi possano andare a piangerlo, e portargli dei fiori. Finisce che quando muore lo seppelliscono in una prateria.

A volte la gente non capisce un cazzo. "



"O bury me not on the lone prairie."
These words came low and mournfully
From the pallid lips of the youth who lay
On his dying bed at the close of day.

He had wasted and pined 'til o'er his brow
Death's shades were slowly gathering now
He thought of home and loved ones nigh,
As the cowboys gathered to see him die.

"O bury me not on the lone prairie
Where coyotes howl and the wind blows free
In a narrow grave just six by three—
O bury me not on the lone prairie
"

"It matters not, I've been told,
Where the body lies when the heart grows cold
Yet grant, o grant, this wish to me
O bury me not on the lone prairie."

"I've always wished to be laid when I died
In a little churchyard on the green hillside
By my father's grave, there let me be,
O bury me not on the lone prairie."

"I wish to lie where a mother's prayer
And a sister's tear will mingle there.
Where friends can come and weep o'er me.
O bury me not on the lone prairie."

"For there's another whose tears will shed.
For the one who lies in a prairie bed.
It breaks me heart to think of her now,
She has curled these locks, she has kissed this brow."

"O bury me not..." And his voice failed there.
But they took no heed to his dying prayer.
In a narrow grave, just six by three
They buried him there on the lone prairie.


And the cowboys now as they roam the plain,
For they marked the spot where his bones were lain,
Fling a handful o' roses o'er his grave
With a prayer to God his soul to save

martedì 18 ottobre 2011

my own kind of blood bound




What's the difference between me and them, then?
You're blood bound, Jack. That's the difference.

domenica 16 ottobre 2011

my own kind of rage

Non tutti capiscono perché sono così arrabbiata.

Metà dell'universo ha perso qualcuno in guerra, del resto, e buona parte di quella gente ha cambiato vita, l'ha superato. Io che mi ostino a marciare nella stessa direzione di due anni fa e non mi sento ancora arresa alla sconfitta.

Quando misi piede per la prima volta a Serenity Valley non mi interessava più molto, della guerra. Tutto ciò che volevo era farla finita con le armi, gli spari, i morti. La notte andavo a dormire, ma come tutti non dormivo veramente: tenevo sempre i muscoli tesi, la mascella bloccata, come se mi aspettassi di morire da un momento all'altro. Non mi sono mai arresa, però. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta, che avevamo qualche chance di vincere. Immaginavo come sarebbe stato tornare a casa da vittoriosa, e ingenuamente immaginavo casa esattamente come l'avevo lasciata.

Cain morì nell'ultima grande carica. Un'ora dopo, capii che avevamo perso quando vidi gli Shangdi dell'Alleanza bombardare la valle, interamente. Un unico momento di lucidità in cui mi apparve chiaro che la guerra sarebbe finita un'ora dopo la morte di mio fratello.

Non finì lì, però. Passarono tre giorni prima che la pace venisse firmata, e quindi prima che qualcuno venisse a raccoglierci. Ricordo quelle notti passate spalla a spalla con cadaveri in via di putrefazione. Quando finalmente arrivarono i soccorsi, e iniziarono a scavare le fosse, dovetti trafugare il corpo di mio fratello per riportarlo a casa, sulla nave di John Cassidy. Quella nave su cui passai i due anni successivi.

La rabbia iniziò lì, credo. Quando realizzai che non avevo più una casa né una famiglia, quando iniziai a rendermi conto che ogni luogo buio mi ricordava quei tre giorni passati tra morti e moribondi prima dell'arrivo dei soccorsi... quando capii di essere irrimediabilmente rotta, prosciugata di qualsiasi cosa che non fosse una rabbia cieca capace di mangiarmi il cervello.

Mi misi nei guai, più volte. A Reno, all'inizio, aggredii un uomo che disse di aver fatto una tacca sul suo fucile per ogni indipendentista ammazzato: un labbro spaccato lui, due costole incrinate io. Un occhio nero e il naso rotto, più tardi, quando vedendomi col marrone addosso un uomo si rivolse a me dicendomi che dovevo rassegnarmi alla sconfitta. E ancora così, per mesi, per due anni. Più mi cacciavo nelle risse, più altre risse venivano a cercarmi. Più mi facevo male più ne cercavo, perché la rabbia funziona così: esige più nutrimento ogni giorno, più energie, più attenzione.

Poi a Maoyi, da ubriaca, persi il controllo e mi feci quasi ammazzare. Uno tirò fuori una pistola per spararmi in testa quando ormai ero già mezza svenuta, ma invece di colpire me prese di striscio Nadia, ad un braccio.

Nadia, il medico di bordo della nostra Lucky Bastard: una ragazzina che aveva fatto l'infermiera nelle fasi finali della guerra. Avrà avuto ventitré, ventiquattro anni. Le volevo bene, a modo mio, ma quando iniziai la rissa non considerai neanche per un istante il modo in cui la stavo mettendo in pericolo. Non so neanche se ricordassi di averla portata con me.

La prima cosa che vidi quando riaprii gli occhi fu John. Lo vidi e basta, però: per il mese seguente si ostinò a non parlarmi, a non guardarmi neanche in faccia. Poi, un giorno, mentre stavo provando a spaccarmi il gesso del braccio sinistro, entrò nella mia cabina e mi disse qualcosa che non scorderò mai. Mi disse: "o fai pace con te stessa, o non puoi più stare sulla mia nave".

Una settimana dopo lasciai la Bastarda Fortunata: fare pace con me stessa, risposi a John, non era un'opzione.

Perché non mi serve.
Non mi serve far pace con me stessa, non sono in guerra con me stessa. Questa rabbia che ho dentro, con cui mi sveglio ogni mattina e con cui vado a dormire ogni notte... questa rabbia che mi mangia dall'interno non ha niente a che fare con me, con chi sono io, con come sto conducendo la mia vita. Ha a che fare con quello che mi è stato portato via e che non posso avere indietro.

E' questo il motivo per cui non faccio finta. Non faccio finta di non odiare chiunque scenda a patti con l'Alleanza o con i suoi marines, come quella ragazzina, quella Summer Cotton del ranch. Non faccio buon viso a cattivo gioco con quel Gibbs solo perché sarebbe più comodo. Non fingo di non volerlo uccidere, non fingo di non voler ammazzare ogni singola persona che ha preso parte allo sterminio della mia gente e della mia famiglia.

Non provo neanche a nasconderla, la mia rabbia, perché non me ne vergogno. Forse mi rende una persona peggiore, una persona più pericolosa, più inaffidabile di quella che ero prima di tutto questo.

Ma almeno... almeno la mia rabbia non mente mai.

mercoledì 12 ottobre 2011

my own kind of jail

Una coperta e degli antidolorifici.

Tutto quello che mi serve per passare le notti in questo buco di cella dell'ufficio dello sceriffo di Oak Town. Puzza, si gela e la gamba mi sta uccidendo, ma cristo, il motivo per cui ci sono finita valeva ogni singolo fottuto istante passato in questa topaia.

Ho anche pensato di prenderlo a pugni, Gibbs. Al primo richiamo: ho pensato di estrarre il mio numero identificativo, andare a porgerglielo, e poi dargli un pugno così forte da rendere addirittura meno sopportabile di quanto sia adesso quella sua fottuta faccia del cazzo che si ritrova.

Ho pensato all'equipaggio, però. Alla Almost Home.

E nonostante ciò, eccomi qui: l'unica compagnia è il tizio che suona l'armonica nella cella accanto. Chiacchieriamo ogni tanto, anche se non sono ancora riuscita a vedere la sua faccia. Quando suona sto zitta, e quando suona la sera me lo godo e basta. Un paio di volte mi sono anche addormentata. Per mezz'ora, o qualcosa così.

Non ci sono mai stata, in prigione. In guerra non mi hanno mai catturata e le corde che mi legavano alla mia famiglia, per quanto strette fossero, erano sempre lunghe centinaia di miglia.

Nessuno mi aveva messo delle manette, prima d'ora. Più ci penso, più mi sembra l'atto più vigliacco che un uomo possa fare: togliere al proprio avversario ogni modo di rispondere all'offesa, immobilizzandolo invece di affrontarlo come una persona con le palle farebbe. Non mi sorprende che quel fantoccio, quel quarto di uomo di Gibbs abbia bisogno di certi metodi, lui e i suoi compagni.

Non dureranno molto, però. E lui, lui durerà meno di chiunque altro.

Fumo, e con la mano sinistra tocco la catenina militare che ho al collo, la snocciolo anello per anello come se fosse un rosario e poi arrivo alla targhetta. Non ho bisogno di guardarla, sento sotto le dita ciò che ci è scritto: tempo e intemperie non l'hanno eroso.

Mi stendo sulla branda e chiudo gli occhi, ma non riesco ad addormentarmi: sul petto mi pesa la mia prima e la mia peggiore gabbia.

Quella dalla quale non mi tira fuori nessuno.

martedì 11 ottobre 2011

my own kind of home

Sono nata e cresciuta in una casa in cui non girava molto oro, ma giravano i soldi necessari per sopravvivere. Mia madre e mio zio si sono spaccati la schiena per crescere due figli e dar loro un'istruzione e un'educazione dignitosa. Shadetrack era un bel posto, per farlo: praterie immense, lunghi fiumi dal letto placido, un piccolo villaggio con tutto ciò che era necessario per rilassarsi dopo il lavoro, un villaggio più grande e più distante per andare ad esporre e a vendere i capi di bestiame dei rancheri della zona, per cui lavorava mio zio e per cui, più tardi, avremmo lavorato anche io e mio fratello.

Di quella prima casa ho ricordi ancora vividi, seppure i particolari si confondano ogni tanto nella mia memoria. Ricordo il rumore del pollaio di mia madre, le uova fresche a colazione, la mattina, lo scricchiolio del mio letto. Dormivo in stanza con mia madre, mentre mio fratello dormiva con mio zio. Ricordo l'incendio che ne distrusse una parte quando avevo quattordici anni, e poi l'ostinazione di tutta la mia famiglia nel ricostruirla, l'aiuto degli amici che io e Cain avevamo e, soprattutto, tutti gli uomini e le donne che amavano mia madre - la maestra del villaggio di Madrida - e mio zio, un lavoratore instancabile, un cowboy coraggioso come non ne fanno più.

Ricordo che rimasi stupita, ammirata nei confronti dei miei parenti. Ricordo che pensai che, a trenta o quarant'anni, avrei capito di essere una buona persona in base a quante persone mi avrebbero aiutato nel momento del vero bisogno.

Quando compii diciassette anni - lavoravo già da un anno o poco più - io e Cain decidemmo di affittarci una casa per conto nostro, un posto tranquillo tra Madrida e il centro cittadino più grande dei dintorni, Mexican. Ci permetteva di muoverci più agilmente con il lavoro e, allo stesso tempo, non ci allontanava troppo dalla nostra famiglia. Qualche tempo dopo nostro zio si ritirò, lasciandoci tutti i suoi clienti, e quattro anni dopo Cain si sposò e si trasferì di nuovo a Madrida, dove sua moglie esercitava la professione di medico.

Maryanne, lei era... sveglia, intelligente, anche molto bella. La conoscevo bene già da un po', e sapevo che presto o tardi sarebbe stata lei a mettere le briglie al ragazzo - perché per molti versi era ancora un ragazzo - scalmanato e arrogante che era Cain.

Restai quindi sola in una casa ormai soltanto mia, ma mai per troppo tempo: il lavoro mi portava lontana per mesi, e le praterie le conoscevo ormai così bene che anche i cieli notturni, ormai, mi sembravano un tetto sotto il quale ripararmi. Quando tornavo a casa visitavo spesso la famiglia e, per qualche mese, condivisi la casa con altri due amici che, come me, spostavano mandrie: Raynold Droper e Thomas Temple, due ragazzoni chiassosi ed espansivi che più tardi sarebbero stati arruolati nell'undicesimo reggimento dell'esercito indipendentista.

La guerra non era più casa mia. Se fossi stata su una nave, forse... ma ero nelle truppe di terra, e il terreno umido di fango e sangue delle trincee non mi sembrava mai sicuro. Continuavo a pensare a casa mia, però. Forse è questo che mi ha sempre impedito di diventare un eroe decorato: non sono mai partita come volontaria per proteggere l'intero rim esterno, ma soltanto casa mia. Non pensavo ai massimi sistemi né a grandi e complicati ideali, mentre combattevo, ma soltanto alle facce della manciata di persone che volevo salvare.

La guerra cambiò tutto. Vedendo Shadetrack distrutta, mi sentii un po' morire. Seppellendo mio fratello pensai che non sarei potuta appartenere più a nessun posto. Quando John Cassidy mi poggiò la mano sulla spalla e mi disse: "non ha senso che resti qui, vieni con noi", guardai la Lucky Bastard da lontano, sorrisi sentendomi ancora l'amaro in bocca e gli dissi: "non ci ha portato molto fortuna".

Forse me ne portò nei due anni seguenti, un po' di quella fortuna di cui era stata sempre avara: non ho ancora ritrovato Maryanne e Sean, ma tornai ad abituarmi ad avere persone attorno, seppure quelle persone non fossero che una manciata di ex soldati feriti quanto me riciclatisi come criminali e contrabbandieri. Froome, Nadia, Luther, Rob: c'erano tutti quando passai la mia ultima serata sulla Bastarda Fortunata, a dirmi di restare, a darmi consigli sulla vita, e ubriacarsi e a mangiare cibo vero, comprato esclusivamente per l'occasione.
C'erano tutti, tranne il capitano Cassidy. John. E la cosa non mi sorprese affatto.

Ora percorro i corridoi di questa nave alla quale non mi sono ancora abituata. L'ho chiamata Almost Home, perché voglio sentirmici a mio agio, ma non troppo: non voglio dimenticare che una casa vera ce l'avevo, una volta. E non voglio dimenticare chi me l'ha portata via.