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venerdì 21 novembre 2014

(my own kind of song for Red Wright)


Sweet Waters, Shadetrack
Quella che fu Madrida, a ovest del Toledo River.

La posta a Shadetrack arriva una volta ogni due mesi, quando arriva. Hanno fatto una colletta per i materiali con cui Sterling ha rimesso insieme un vecchio light cruiser buono a reggere fino allo skyplex più vicino, dove raccoglie tutte le lettere e i pacchi diretti a Sweet Waters. Sono parecchi: di satelliti dedicati non ne hanno ed è difficile che il segnale cortex arrivi a più di un decimo di pianeta. Sharpe ha finito il suo turno di notte e ha dato il cambio a Chris Barclay. Si sono scambiati il fucile (ne hanno pochi, ma ben tenuti) e il 'tracker le ha detto che sono arrivate brutte notizie, non sa che notizie esattamente. Che tutti dormono. Che Bolivar e i loro figli dormono, che Ritter e Sterling dormono, che André e John e Sam e Maryanne e Sean Rooster, figlio di Cain Rooster, che ormai è quasi un uomo, e Cecilia Ritter che non è più una bambina, e tutto quell'esercito di spiantati e disperati alla ricerca di un posto dove stare e che continuano a chiamare Jack ammiraglio

Ammiraglio.

Sharpe la trova nella sala bassa della casa principale, seduta di fronte al camino acceso, con il suo cane tra le braccia, avvolto dalla coperta più calda che ha tolto al suo letto. Acab respira con la fatica della vecchiaia, il pelo una volta bianco ha ormai perso di lucentezza, e anche dal suo unico occhio non riesce a distinguere più nulla. Una vita di servizio e fedeltà l'ha reso esausto, ma anche Jack Rooster si conta addosso le sue rughe. Se vivi su un pianeta distrutto, non vivi a lungo. Sharpe le si va a sedere accanto.

"Ti ricordi quando l'abbiamo trovato?" E' la prima cosa che Jack le chiede, ma sa la risposta. "In una nave alla deriva, nel vuoto. Ultimo sopravvissuto. Tutti quelli che stanno qui sono come questo cane: gli unici sopravvissuti di qualche strage. E' per questo che abbiamo perso la guerra di Polaris: quando loro dicono l'ultimo sopravvissuto, parlando di quello che è ancora vivo, quando lo diciamo noi, parliamo di quelli che sono morti. La sconfitta ce la portavamo dietro dalla prima fucilata."

Sharpe osserva il cane. E' un mezzo lupo con i denti ancora buoni, nonostante il tempo. Non si è mai lasciato toccare facilmente, e lei tende la mano per fargli finalmente una carezza. Poi la ritira: chi muore ha diritto a morire come è vissuto. Anche le bestie.

"Questi qui sono ancora vivi, ammiraglio, e magari sarebbero tra i morti se non fosse per te. Tutti vivi che vogliono restare vivi. I tuoi figli avranno figli loro, un giorno - Susan Patricia e Samuel."
"Pete ha gli occhi di suo padre, e la testa. Quando vede una cosa storta le si pianta dentro e non ha pace finché non la raddrizza. Mi preoccupo per lei. Mi preoccupo per Bolivar, anche."
"Tu ti preoccupi per tutti."
"Ci conosciamo da quanti anni?"
"Da prima che facessi salire a bordo questo cane."
"Hai passato una vita al timone di una nave e mi hai seguito qua dove puoi pilotare a stento i cavalli."
"Sono invecchiata, ammiraglio. Uno non può essere un soldato per tutta la vita."

Jack Rooster, anni prima, era convinta che lo sarebbe stata. Accarezza Acab dietro le orecchie e ricorda di quando passò settimane accucciato ai suoi piedi mentre lei combatteva per restare viva, continuare a respirare. La sua pelle è sempre stata dura come il nodo delle conchiglie che trovi in riva al mare. Ma Jack l'ha visto raramente, il mare.

"Red Wright è morto a Fargate."

Lungo la schiena di Sharpe si arrampica la desolazione. Il migliore pilota della Resistenza è morto nell'inferno di Fargate. Jack percorre con le dita il muso del suo cane, e non ha il coraggio di dire che avrebbe potuto scommettere ogni cosa che Red Wright, almeno Red Wright, sarebbe stato la persona che sarebbe uscita fuori da Fargate viva. L'ultimo sopravvissuto. Aveva chiesto a Chris se sarebbe riuscito a costruire un altro pezzo di casa grande abbastanza da accogliere una famiglia di tre. 

"Non ho voluto svegliare nessuno. Dovrò dirlo a Sterling, e a Bolivar. A John... a Chuck. Quando lo dirò ai miei figli non sapranno neanche collegare una faccia al suo nome. Abbiamo passato cent'anni sulla Almost Home, ma ora io sono a casa, a Red Wright che è stato catturato sotto il mio comando-- non ci è mai tornato."
"La guerra uccide le persone, ammiraglio. L'ha sempre fatto. Red Wright lo sapeva, ed era pronto a morire per la causa."
"Non è morto in battaglia. Almeno questo glielo dovevo: farlo morire combattendo."
"Non sai com'è morto. Di battaglie ne combattiamo ogni giorno."

Jack smette di respirare insieme ad Acab, rimane sospesa nel vuoto per un istante lunghissimo. Quando il mezzo lupo muove il petto in un respiro profondo, lei fa lo stesso, con un sollievo temporaneo. Lo copre meglio quando lo sente gemere di dolore.

"E' tempo, ammiraglio. Dovresti abbatterlo."

Forse dovrebbe. E' la cosa umana da fare: suo zio aveva fatto così con tutti i suoi cavalli vecchi o con le zampe rotte, dopo averli salutati. Se si sfogliava indietro poteva ancora trovare il suono del suo fucile, l'odore della clemenza che era uguale a quello dello xentio. Jack si china col busto su Acab. Gli poggia le labbra sul fianco, ad occhi chiusi, percependone il respiro. Pensa a Red Wright e a come non sia mai andata a trovarlo, perché il viaggio era troppo lungo. A come non gli abbia scritto, perché temeva che loro sarebbero riusciti a rintracciarla, ad arrivare al suo angolo di pace così remoto - o forse perché non aveva abbastanza cose da dirgli, perché si vergognava a parlargli di come Pete avesse gli occhi blu di Bolivar e Samuel l'aspetto e l'odore di suo fratello. Di come crescessero forti e determinati, con due genitori accanto, mentre suo figlio cresceva senza un padre a Saint Andrew, e tutto per colpa sua. Pensa a tutte quelle cose rimaste incastrate nelle reti della loro educazione spartana, rimmer, mondi e vite in cui nessuno li aveva abituati ai sentimenti. Ad avere pazienza per gli addii.

"Possiamo farlo adesso, prima che i ragazzini si sveglino."

Jack solleva il busto, scuote il capo con energia, ostinazione. 

"No", con lo stesso tono con cui dava gli ordini quando era davvero un ammiraglio.
"Non ancora."

* * *


Due giorni dopo, fanno un grande funerale in cui indossano il browncoat. I giovani piangono Acab e i vecchi piangono Red Wright, ma ci sono alcuni giovani che piangono Red Wright e alcuni vecchi che piangono Acab, ma ciò che è certo è che in ogni cuore piantano una croce in più. Ne piantano due anche dietro la casa: Jack Rooster dà al suo cane e al suo pilota posto accanto alla sua famiglia, anche senza un corpo. Bolivar e André la aiutano a scavare mentre Sterling dà un pugno sul naso di Ritter e fa ridere i ragazzini, per dimostrare bene il rapporto affettuoso che avevano suo marito e Wright. Ognuno racconta la sua storia su Red, ognuno si prende il suo tempo per aggiungere un pezzo alla memoria collettiva. Chuck, che lo conosceva e lo chiamava ancora zio Red, la sera va da Jack e con l'espressione scura le chiede: come è morto?
Jack le bacia la fronte. Le risponde: combattendo. Sa che è la verità.

martedì 3 dicembre 2013

our own kind of freedom


E' il dodici dicembre 2505 e balliamo dietro il saloon. Fa così freddo che ti chiedo di stringermi e tu invece fingi di farmi cadere, e quando io ti insulto tu ridi e dici che come faccio a non fidarmi, sei tu, come faccio a non fidarmi? Quella notte facciamo l'amore tenendoci addosso quasi tutti i vestiti, e quando dopo ci stendiamo sul fondo del fienile tu ti lamenti di avere la paglia nelle mutande, e dici che sant'iddio, non è possibile fare l'amore e preoccuparsi della paglia nelle mutande, e che un giorno costruirai una casa solo per andarci a fare l'amore con me.

E' il 2510, ed è novembre. Mentre sono in una trincea a Boros e vengo informata che ciò che rimane del sesto reggimento verrà inviato a combattere a Hera, tu sei al lazzaretto di Madrida, dietro la chiesa, e leggi a mia madre una poesia che lei vuole che ti ricordi. La poesia, come tutte le più belle poesie di questo mondo, parla d'amore. Quella notte continui a leggere e a tenerle la mano, finché non ti rendi conto che il polso non le batte più. 

E' il 2514, settembre. Ho appena ucciso un soldato alleato mio prigioniero. L'ho fatto dopo averlo torturato in modo barbaro, alla ricerca di informazioni che non mi ha voluto dare. So che Eivor non mi guarderà più con gli stessi occhi. So di avere danneggiato John in maniera irrimediabile, facendogli pensare che ciò che ho fatto è giusto, ma non c'è niente di giusto nel far soffrire un uomo, neanche se è un tuo nemico. Mi chiedo che fai e se ti vergogneresti di me, se vorresti ancora sposarmi, dopo aver visto ciò che sono stata capace di fare. 

E' un giugno tiepido. Mentre io sto morendo, schiacciata con la schiena contro il bancone di un saloon di Greenfield, tu, a parsec di distanza, punti un fucile contro un ragazzino che è venuto a rubare in casa tua le uniche due galline che ti sono rimaste, e che ti permettono di sfamare te e tua madre. Gli dici di andare via, o altrimenti spari. Lui ti guarda con degli occhi enormi, in cui puoi leggergli l'indecisione tra il morire subito, fucilato, o più tardi, di fame. Lui se ne va correndo con il bottino, e tu scopri di non avere il coraggio di sparare a un innocente.

Ho otto anni e tu dodici, e nonostante ti odi più di qualsiasi altro ragazzino a Madrida, ci casco come una stupida quando mi fai credere che i pesci volanti esistono davvero, e che ne troverò un raro esemplare su quell'albero alto e pieno di vespe. Tuo padre ti prenderà a cinghiate per due giorni, più o meno il tempo che ci impiegherà mia madre a togliermi i pungiglioni dalla pelle.

Nel 2513, una notte, mi sveglio accanto a Scott. Mentre lui dorme io scivolo fuori dal letto e mi rivesto molto lentamente. Nello stesso momento tu stai raccontando di me a una prostituta che adora le storie d'amore, e che ti dice che dovresti partire e andare a cercarmi, e sposarmi, e avere con me tanti figli, e riportarmi a Shadetrack. Per una notte intera ti chiedi se non abbia ragione lei, ma il giorno dopo ti riporta un po' di buonsenso, e ti dici che alcune cose sono perse.

E' la primavera più bella che abbia mai visto su Shadetrack, e tu cerchi nell'erba i tuoi pantaloni per estrarne un anello avvolto in un fazzoletto. Quando ti dico che non rinuncerò alla guerra per te, replichi che va bene, che ti risponderò quando la guerra sarà finita, che avrò un sacco di tempo per pensarci.

Cinque anni dopo è il 2511 e attorno ho soltanto morte. Mentre a te, a Mexican, arrivano le prime voci della fine della guerra, io imploro John Cassidy di aiutarmi a riportare il corpo di mio fratello a casa. Non imploro a voce, lo faccio con gli occhi. Quando mi dice che non gli basterebbe il carburante, io ripesco quell'anello dal fondo di una tasca, e gli dico che potrà usare quello, per il carburante e per il servizio.

Quattro anni più tardi, tu stai provando a sistemare un apparato di filtraggio dell'acqua da solo. Non ci riesci, imprechi ad alta voce perché a breve non saprai più che cosa bere, e nella disperazione pensi che saresti dovuto morire te invece che tuo fratello, che lui avrebbe saputo ripararlo. Intanto, su Bullfinch, io ho appena dato un pugno a John Cassidy e lui ha appena dato un pugno a me. Ma è già passato, e prima di salutarmi poggia quello stesso anello che gli diedi una vita prima sulla branda nella mia cabina, dicendomi che dovrei tornare dove qualcuno mi aspetta.

Non ricordo che anno è. Sono ubriaca e terrorizzata, perché ho perso Eir Sterling nell'esplosione di una nave. Tu intanto hai trovato un fiore (è così raro trovarne a casa, ormai), e pensi di raccoglierlo e andare a trapiantarlo vicino alle tombe della famiglia Rooster. Non mi passi nella mente neanche per un istante.

E' poco tempo fa. Gli stranieri non sono benvenuti a Sweet Waters: vengono solo a depredare il poco, il pochissimo che c'è. Spari contro Sharpe un colpo di avvertimento mentre scende dalla pedana di stiva, mancandole il piede destro per un soffio. Io sto dentro e dico ai numerosi figli di Ritter e Sterling di nascondersi, non so che sei tu. Quando urlo il mio nome da dietro la spessa paratia metallica della wyoming che ci ha portati a casa, dico che vengo in pace, che sono di Shadetrack, e che sono la figlia di Susan Rooster e la nipote di Sam Rooster. 

E' davvero un istante fa. Nell'abbracciarti d'impeto ti sbatto il fucile contro la schiena. Tu mi sollevi e giri su te stesso, senza che io riesca neanche a toccare terra con i piedi. Non ci diciamo niente per un tempo infinito, ma va bene così. Io ripenso a tutte le volte che non ti ho pensato, e mi chiedo se ti sei fatto le stesse domande che mi sono fatta io, mentre me le facevo io. Ti vorrei chiedere: cosa stavi facendo mentre io riparavo lo steccato a nord di Buckskin Trails? Mi hai pensato quella volta in cui ho riabbracciato Red Wright evaso da Fargate, e hai sentito anche il tuo cuore fermarsi quando lo ricatturarono? Io baciavo Sundance su una tempia perché ci aveva appena sbloccato le prove necessarie ad incastrare i criminali che avevamo catturato, e tu intanto chi baciavi? Mentre io mi legavo i polsi e mi lasciavo trascinare sul fondo, sicura che fosse l'unico modo per vincere la guerra (vincere o morire per lei), tu in quali catene eri serrato? Chi aveva le chiavi di ogni lucchetto? E ora che mi rivedi, ti senti finalmente libero come mi ci sento io?

Non fa niente, va bene comunque, va bene così. Ti amo come un fratello, e gli errori sono tutti nel passato. Ti bacio sulla fronte e ti dico che ho così tante cose da raccontarti che tutta la vita non ci basterebbe. Tu mi guardi e ridi. In quel momento mi viene in mente che sai già tutto, e non ho dubbi. Solo tu potresti. 

E' il 2506, e sto partendo per la guerra. Ti abbraccio e ti dico in un orecchio: "ti ho nelle vene, Chris. E non ti ci posso più tirare fuori".


* * *

[dal libro di poesie di Susan Rooster]

[post n. 100]

sabato 9 novembre 2013

my own kind of ghosts



Al tavolo dove mangiava tutte le sere, di fronte al camino che aveva visto lei e Cole Scott felici, per una notte brevissima. Sulla veranda da cui aveva puntato il fucile in attesa che arrivassero i desperados dei tre fratelli Bolton. Nelle stalle dove aveva tenuto Shamrock, tra i cavalli che aveva curato, ormai vecchi. Nella sala in cui avevano tenuto il corpo ripulito di Buck Blackbourne, con le mani sul cuore e il browncoat macchiato. Nell'infermeria dove l'avevano vaccinata, lungo i campi in cui aveva rischiato la vita contro scorpioni geneticamente modificati grandi come pecore. Dietro la finestra che guardava mentre progettava un omicidio. 

Jack Rooster si muove nella bella casa colonica e la casa le parla di quando c'era Ritter a difendersi dietro i muri, di quando c'era Sterling a bussarle alla porta e Roona Mei Wilson a scartare regali. Le parla di quanto ha dato, quanto ha preteso, quanto non le è stato restituito. Parla di tutti i pugni dati ad Arkan McCorvin e di quando fu cacciata, e il giorno dopo aspettò la squadra di alleati al Crazy Horse Saloon. Parla di Jimbo nascosto in cucina e del ruggito delle notti senza luna. Segue sul pavimento le tracce di una nostalgia piena di rancore. Conta sulle tacche del mauler le volte che ha rischiato la vita per gente che non l'avrebbe rischiata per lei.

"Ammiraglio, è tutto pulito. Procediamo?"

La voce nell'auricolare sfrigola. 

"Aye. Prendete le provviste, e il bestiame. Prendete ogni cosa."



Never took the chance to be
Something I thought I lacked
The only things I give away
Are things I don't want back

lunedì 30 settembre 2013

my own kind of kite flier



Almost Home. Jack ha passato mezz'ora a decidere se indossare un vestito o i pantaloni. Ha valutato quello regalatole da Sam, ma vestirsi di bianco al matrimonio di qualcun'altro è di cattivo augurio (glielo diceva sempre sua madre). Allora ha sfiorato con le dita l'abito lungo, beige, che si è messa per celebrare l'unione Ritter - Sterling. Poi sono arrivate le notizie sulla fine delle trattative. Ha inspirato a fondo e ha sentito odore di guerra. Per qualche motivo, ha scelto dei pantaloni integri, una camicia stirata, un gilet nuovo. 

Ha i capelli raccolti in una treccia e ha appena finito di pettinare Cortes. Sosta in piedi sull'uscio delle docce. Con le braccia conserte e una spalla contro lo stipite, osserva Bolton sistemarsi la cravatta di fronte ai grandi specchi. L'unico occhio si ferma sul riflesso del capitano, ma solo per un istante: poco dopo è di nuovo occupato ad aggiustarsi il nodo. Ha qualche difficoltà.

"Mi è appena arrivato il nome del tuo rimpiazzo". 

Bolton alza il mento e inspira a pieni polmoni, dilatando le narici. Scioglie il nodo, ricomincia daccapo. La parte larga passa sopra quella sottile, quella sottile si ripiega su quella larga... no, qualcosa non va.

"Alcune persone sono fatte per prendere calci in culo dalla vita finché non crepano, capitano. E quando vivi così quarant'anni quasi, pensi che va bene".

Jack rimane ferma sulla porta. Ha un'espressione calma e arresa, e una malinconia antica le paralizza gli occhi spenti.

"Non prenderla male, capitano: io ci credo molto in quello che state facendo. Ma prima di tirare le cuoia vorrei fare qualche cosa anche per me medesimo. Non so se mi spiego. Cristo."

Impreca e sbuffa, sciogliendo di nuovo il nodo che gli è uscito male. Jack si stacca dalla paratia e si avvicina con calma, sospirando piano. Lui si volta verso di lei e alza di nuovo il mento. La lascia mettere le mani al pezzo di stoffa, all'improvviso considerando che, se Jack Rooster sa sistemare una cravatta, forse in vita sua ha conosciuto qualcosa di diverso dalla guerra. In vita sua. In un'altra vita.

"Red, Dio l'abbia in gloria, crede in tutti quei santi strani, che gli dicono che è meglio morire ammazzati in battaglia che nel tuo letto, con una donna onesta. Ora che non ci sarò più io, qualcun'altro dovrà ricordargli che ha una famiglia di cui occuparsi"

"Penso che questo lo sappia già"

"Ma devi dirgli che a volte è meglio un po' di disonore, se ti permette di non far finire tuo figlio orfano. Devi dirglielo tutti i giorni"

Finito il lavoro, Jack spazzola con le mani le spalle della giacca di Bolton, ne sistema i risvolti. Alla fine fa tre passi indietro e si mette le mani sui fianchi, guardandolo a figura intera. Lui tira su col naso e si sistema più dritto, più fiero.

"So. How do I look?"

Jack sorride piano e scuote appena il capo. Aggancia morbidamente gli occhi allo sguardo monoculare del pilota. 

"Just about right."


 * * *

La pioggia è quasi sparita e il sole è tramontato da un po', lasciandosi dietro un cielo non ancora del tutto spento. Sterling e Ritter ballano, e Haggerty sgomita Eivor per farsi rispiegare come si fa ad essere un corer saccente come Ritter e avere quell'enorme naso ancora dritto, intatto. Il rim deve sembrare un posto strano e brutale per chi non ci è nato. Jack si è sorpresa di vederlo con soltanto un occhio nero.

Lei si è presa i bambini. E' per terra, in ginocchio, e uno stuolo di infanti è raccolto a drappello insieme a lei. I più piccoli (i nuovi gemelli della premiata ditta Ritter-Sterling) si rotolano nella terra senza ben capire cosa stia accadendo. Cecilia si è guadagnata un posto alla destra del capo, e tiene un ginocchio poggiato a terra mentre si gratta il mento con una mano, sulla faccia un cipiglio da generale. Olvir, Hust, è sotto l'ala sinistra. Lelaine è l'unica in piedi, e guarda il motivo d'interesse da sopra una spalla di Jack, con un'asciutta attenzione analitica.

Il motivo d'interesse è un aquilone. 

"Ma poi che fa?" obietta Hust, ciancicando le parole, senza ben cogliere il motivo di tanta concentrazione da parte di tutti.

"Lo fai volare" spiega Chuck, spazientita.

"Come papà?" il ragazzino spalanca gli occhi, pieni di meraviglia.

"Proprio come papà" risponde Jack prima che Chuck possa replicare con quella terribile spocchia (tutta suo padre).

"Lo avete montato al contrario" fa notare timidamente Lelaine.
"Zitta, scema" replica la sorellastra.
"Chuck!"
"Scusa"
"Non a me"
"Scusa Lelaine".

Che poi ha ragione: lo hanno montato all'incontrario. Jack dispone ognuno a un angolo diverso, e a ognuno consegna un lembo di stoffa rossa da tendere e tirare, mentre lei fissa un'estremità. Chuck la imita di nascosto, e quando ha finito con successo solleva entrambe le braccia e chiama zia Jack per farsi dire che è brava. Continuano il lavoro, visitati di tanto in tanto da un altro adulto dubbioso. Ognuno ha un parere diverso sul perché l'aquilone non sembra affatto un aquilone, montato così. Desistono tutti dopo il primo grugnito dall'ammiraglio, ma poco dopo anche la maggior parte dei bambini ha perso interesse, e si annoia (o dorme per terra, come i due gemelli).

Chuck no. Chuck non si considera una bambina, per cui rimane saldamente al fianco della zia, seguendo scrupolosamente le sue istruzioni anche quando sono contrastanti. Fanno e disfanno l'aquilone almeno tre volte.

"E' vero che sta arrivando la guerra?"

Jack si rabbuia. Solleva lo sguardo su Cecilia e la guarda di sottecchi, indecisa.

"Temo di sì, Chuck".
"Tu l'hai già fatta la guerra?"
"Aye."
"E com'è?"

Jack esita. Tira su col naso e spazzola il lembo rosso di stoffa tesa con le mani.

"E' difficile."
"Per i codardi, no?"
"E' difficile anche per i coraggiosi, kiddow"

Tende un quarto di sorriso piuttosto tenue, e la bambina non se lo lascia sfuggire.

"Voglio combattere anche io. Papà dice che non posso."
"Dovresti ascoltarlo"
"Ma io posso! Voglio fare la pilotessa, come zia Ed e zio Red!"

Jack si mastica una guancia. L'aquilone, all'ennesimo tentativo di costruzione, sembra solido. Vi lega lo spago arrotolato attorno a un pezzo di legno levigato e alza gli occhi sulla bambina in attesa, valutandone gli occhi accesi.

"Vuoi fare la pilotessa"
"Sì"
"E far volare le navi?"
"Sì".
"E allora la prima missione è questa - si china in avanti, in aria di confidenza. Chuck trattiene il respiro. - fai volare l'aquilone".

La prende sul serio, perché la successiva mezz'ora è tutto un correre a destra e a manca, cercando l'angolo giusto di prato. Quando finalmente trova il soffio di vento perfetto, e lo fa sollevare, gli occhi di tutti si alzano al cielo. Cecilia tiene saldamente le redini dell'ala rossa, nonostante gli strattoni potenti che ogni tanto sembrano destinati a farla ruzzolare. Non si arrende mai, però, con un'ostinazione che ha imparato dagli adulti che la circondano.

Quegli stessi adulti sollevano le mani, ridono e applaudono. Hust guarda in alto a bocca aperta, e dopo un attimo va appendersi alle spalle della zia, ancora seduta per terra.

"Guarda! - urla pieno di meraviglia - guarda! Come papà!".




venerdì 21 giugno 2013

my own kind of edge


Jack Rooster ha passato i trent'anni da un po'. Stesa sulla cima della Almost Home, attinge da una bottiglia di whisky avvolta da un buio che fino a qualche anno prima l'avrebbe gettata nel panico più profondo. Se può guardare il cielo stellato di Bullfinch, a qualche miglio da Timisoara, lo deve soltanto ad Eleazar Ritter. Ne pronuncia il nome piano e pensa a Tauron. Poi pensa a una leggenda antica di Shadetrack sulla nascita delle stelle. Non riesce ad afferrarne la memoria, ma le pare di ricordare che avesse a che fare con un fucile.

Bullfinch le ha sempre fatto pensare a Eivor Edwards, ma dire che vi è affezionata così ostinatamente solo a causa sua sarebbe una menzogna. Il terreno polveroso di Timisoara le ricorda i tratti più aridi del passo che attraversava la Trinidad, a Sweet Waters, mettendo in collegamento la zona a est e quella a ovest delle montagne. Il modo in cui la gente si preoccupa di far bere il proprio cavallo prima di entrare nei saloon e le rigogliose tenute a sud appartenenti ai Rose, il sole vivo della mattina e le persone che vanno a lavorare all'alba nei campi, e il silenzio che scende dopo il tramonto permettendoti di sentire ogni respiro che fai. Bullfinch non è casa sua e da casa sua è lontana centinaia di parsec. Ma certo è che le assomiglia molto.

Mentirebbe anche se fingesse che l'appartenenza di Eivor Edwards a Bullfinch non cambia niente. Avendo perso la sua, di casa, si preoccupa che niente di simile accada alle persone che più ha a cuore. Se si sforza a trovare un senso al dolore lancinante che la perseguita da quando, tornando su Shadetrack, ha trovato solo croci piantate per terra e wastelands avvelenate, quel senso è l'apprendimento di una lezione: se vuoi proteggere un posto, proteggilo da vicino. Se vuoi proteggere delle persone, proteggile da vicino.

Eivor l'ha delusa. Lo pensa mentre valuta il livello del whisky nella bottiglia agitandola appena e passandola da una mano all'altra. Del resto, riflette, ha da un po' imparato a vivere con sensi di colpa che in passato le avrebbero impedito anche solo di respirare. E' un gioco d'equilibrio, e il segreto è nel tenersi sempre molto impegnati o molto poco lucidi. Così, mentre durante il giorno non si ferma un attimo, la sera si stordisce di antidolorifici e alcol in modo da essere sicura di fare sonni senza sogni. Forse è un modo di giocare sporco, di barare - pensa - ma in qualche modo devo sopravvivere. Oppure devo suicidarmi come stavo per suicidarmi quando aspettai al saloon di Oak Town una squadra alleata venuta per me e, quando arrivarono, aprii il fuoco? E' questo che vuole? Mi vuole morta?

Si infila la mano sotto la camicia e con la punta delle dita sfiora le proprie cicatrici. Parte dal basso, da quelle al fianco sinistro: sono quattro, guadagnate in quattro riprese diverse. Arriva alla spalla sinistra e basta il proprio tocco per farle venire i brividi: non è abituata a sentire niente sulla pelle da un bel po', se non le mani dei medici che l'hanno ricucita in fin troppe occasioni. La cicatrice sotto il petto la tocca per ultima, quella che le perforò il polmone destro e rischiò di mandarla al creatore. Ha ricordi piuttosto vaghi di quando la riportarono alla nave, e l'unico volto che riesce a distinguere nella propria memoria è quello di Sam.

Insomma, può sopportare di combattere con la propria coscienza. Può anche sopportare di combattere con Eivor Edwards, che è stata la sua coscienza per un sacco di tempo, quando era parte dell'equipaggio e poteva andare a trovarla in plancia durante il suo turno di controllo. Ma non può sopportare di combattere con Eivor quando non mette mano al timone della Almost Home da un tempo così lungo che sembra una vita, e dopo averla vista associata al pirata che ha mandato a Fargate il suo primo ufficiale. Ripensa a Red Wright appena tirato fuori dalla cassa da morto ermetica in cui l'avevano buttato nello spazio. Lo ricorda troppo magro e troppo fragile, scosso dal tremore come un agnello sul punto di essere decapitato. Si ripete piano che lei non sapeva, ma non riesce a perdonarla lo stesso.

Pensa a se stessa, per una volta. Pensa a come stia camminando su una china sottile e su come Eivor Edwards sia qualcosa che la sbilancia verso il precipizio. Pensa a quel bordo che fa la differenza tra quando decide di vivere e quando decide di morire, e poi pensa che c'è un limite a tutto. Non riesce a odiarla lo stesso, però. Qualcosa in fondo al petto le dice che la giovanissima pilota di Bullfinch ha fatto bene a salvarsi, ad allontanarsi da loro prima di essere costretta a sporcarsi le mani in modo irreversibile e imperdonabile. E' felice che l'anima di Eivor sia salva. Se qualcuno deve trascinarsi nel fango, quella persona può essere lei. E' in quel momento che focalizza perché si senta così tanto delusa: si aspettava che qualcuno ringraziasse lei e i suoi per essersi sporcati le mani  al posto loro. Perché quello che abbiamo fatto andava fatto, si ripete ed è convinta: e noi ci siamo presi la colpa per salvare i sonni tranquilli di tutti gli altri. 


Finisce per aggrapparsi alla targhetta militare che tiene sotto i vestiti: è una cicatrice anche quella. Sente con più forza la paratia metallica della nave premerle contro la schiena. Il cielo la schiaccia e lei teme di essere risucchiata nel metallo fino ad affogare nei circuiti della sua quasi-casa. Il guizzo della mente alla ricerca di un pensiero positivo le fa tremare disperatamente le pupille negli occhi, e per un secondo è vuota e perduta e pensa a quanti anni avrà adesso Sean, e se i bambini che ha ucciso magari erano suoi compagni di scuola.


Poi scoppia a ridere. Si asciuga gli occhi mentre costruisce nella propria mente l'immagine mai vista di Bolivar che prende una testata da un puledro. Lo immagina reggersi la fronte e immagina il puledro trottare allegro per dargli il resto, e prende a ridere così forte che deve reggersi la pancia con le mani. E' di nuovo salva: il cielo si rialza e il metallo torna ad essere semplicemente il letto su cui si è stesa. Coglie quell'attimo di serenità e prova a dilatarlo: ci beve sopra, ci manda giù pasticche. Finisce per addormentarsi aggrappata a quel pensiero come a uno scoglio in mare aperto.


lunedì 15 aprile 2013

my own kind of love


Una Red Hawk mi ha spalancato il petto, ma il cuore me lo aprono poche cose. 

Eir Sterling e Ritter che abbracciano loro figlia perché loro figlia li riconosce nonostante tutto. Ci penso mentre li lascio come in posa per una bella fotografia. Penso che alcuni legami sono così forti che non li può spezzare niente, neanche un bambino che cresce e dimentica presto, un padre tossico, una madre alcolizzata, un destino segnato fin dalla nascita e una vita tra navi spaziali e bettole safeportiane. Il sangue è più denso dell'acqua, diceva mia madre.

Penso ancora, e all'improvviso penso che è ora per me di tornare a casa.


there is a town in north Ontario
with dream comfort memory to spare,
and in my mind
I still need a place to go
all my changes were there

blue, blue windows behind the skies
yellow moon on the rise
and big birds flying across the sky
throwing shadows on our eyes
leave us

helpless, helpless, helpless
baby can you hear me now?
the chains are locked
and tied across the door,
baby, sing with me somehow

martedì 26 marzo 2013

my own kind of blind faith

tomorrow will be kinder - the secret sisters

Quando mi arriva la notizia sul cortex pad, ho appena preso la jeep e sono costretta a fermarmi. Sono su uno sterrato buio e sento il gelo nelle ossa. Mi piego sul volante, provo a rimettermi dritta ma cado di nuovo in avanti. Non ho più forze. Qual è l'ultima cosa che le ho detto? Non me la ricordo, non ho più forze. E lui, non ci siamo visti più dopo che l'ho cacciato dalla nave, con Black. Qual è l'ultima cosa che ho detto a lui?

Non ci penso più. Butto giù tre antidolorifici e un zalepon, e di nuovo sono in grado di respirare. Vado al ranch, cerco una tale Radha, la trovo al primo colpo. E' una ragazzina dolce, che mi sorride e mi rassicura. Continua a farlo per tutto il tempo, come se non ci fosse una sola cosa che potrebbe andare male. Come se non fosse già andato tutto irrimediabilmente male. Faccio la sua sicurezza mia, e quando guardo John con la morte nel cuore, e Schmidt, e sento Hale soffrire e Edwards sorridermi amareggiata, punto i piedi per terra e lo dico a tutti: andrà bene. Fidatevi, andrà tutto bene. Lo dico come se lo sapessi: andrà tutto bene. Vi tirerò fuori da qui. 

I ain't leavin' no man behind.

Riporto la ragazza al ranch, la ringrazio, la pago, le faccio capire che abbiamo bisogno di discrezione, la ringrazio di nuovo. Lei dice di capire tutto, mi lascia il suo contatto ma non prende il mio, per sicurezza. Dietro l'aspetto calmo e innocente, vedo lo sguardo di una persona attenta, sveglia. Zio Sam avrebbe detto con le palle quadrate.

Quando torno al covo, parcheggio la jeep, faccio il pezzo a piedi, torna ad assalirmi. Fa male come un coltello al centro dello stomaco. Non ho più forze, vomito bile e cado per terra. Piango, e piango finché non sento i passi leggerissimi di Sharpe in esplorazione. Mi faccio trovare in piedi e dico di aver perso l'orientamento. Le dico che starò bene. Che staremo tutti bene.

Lo ripeto a tutti. Se continuo a dirlo, forse presto o tardi ci crederò anche io.

sabato 23 febbraio 2013

my own kind of loose cannon


E' bellissima.

E' una roba minuscola, con la pelle che sembra una pesca e il profumo di una cosa nuova e pulita. Anche se la madre se la tiene nella sala macchine, dove non dovrebbe stare, e la fa dondolare con un fagotto appeso ad un gancio. E quella si diverte.

Chissà come diventerà da grande. Un padre tossico e una madre alcolizzata che la amano più della loro stessa vita. Un'infanzia da non registrata, passata a Safeport nel migliore dei casi. Se Ritter si ripulisce, come dice di voler fare, e lascia quella banda di scalmanati con cui viaggia, potrebbe trovarsi un posto a Greenfield e tenersela lui, la bambina. Non vedrebbe la madre quasi mai, ma potrebbe crescere con i cavalli e il cibo vero, e fare una vita decente, e - Dio voglia - non conoscere mai la guerra in vita sua.

Sarebbe bello che vivesse in pace. Sarebbe bello vivere in pace. Speravo di aver trovato un po' di tranquillità, quando sono tornata, quando ho visto lei per la prima volta. Da quando la mia vita ha iniziato ad essere come stare perennemente sul ciglio di un burrone? L'unica pace che trovo è sul fondo di un tubetto di painkillers. Ho letto l'etichetta, le scritte piccole, che dicono come l'abuso possa portare a interruzione della respirazione, coma, dipendenza, overdose, morte.  

Non è più neanche una questione di dolore. E' come mi pulisce la testa e rende ogni cosa lenta e trasparente. All'improvviso non ho più bisogno di ordine. Ogni problema posso rimandarlo, ogni incubo scompare. Scivolo in un sonno pesante e senza sogni, senza gli incubi che mi hanno tormentato per anni. Senza la puzza di morte nelle narici e un vetro tagliente piantato in mezzo al petto. Divento pesante. Scivolo fino al cuore della terra.

Dura quattro, cinque ore, poi è di nuovo l'alba. Ogni cosa mi torna nella testa spinta a martellate. Abbiamo così pochi soldi che tra un po' non ce ne saranno più neanche per pagare le provviste e gli stipendi. Non so fino a dove posso spingermi con la Almost Home e non ho macchinisti non ricercati dai bluejacks. Non ho detto a nessuno dell'equipaggio della fuga di informazioni. Fuga di informazioni: tanto vale ribattezzarla Eir Sterling. So che non lo direbbero in giro. Ma se lo facessero? Se lo venisse a sapere Renshaw? La fucilerebbero. Me lo ripeto da giorni, settimane: la fucilerebbero. La immagino fucilata. Chiudo gli occhi è c'è lei quell'infinito numero di volte che l'ho raccolta da terra ferita e sanguinante.

E' un problema, non posso far finta che non sia un problema. Non posso far finta che Quinn Thomson non sia una minaccia per tutti noi. Lo ha ripetuto allo sfinimento, Eir: ha sempre saputo e non ha mai detto niente. Ma il giorno che faremo qualcosa che non le piace? Il giorno che cambierà idea, il giorno che lo confiderà a qualcuno meno discreto di lei? Quinn Thomson a piede libero vuol dire una mina inesplosa nascosta appena sotto la sabbia. 

Ma non indossa una giacca blu. E' una ragazzina che si lamenta, ma non indossa una giacca blu. E' una mina sotto la sabbia, ma non mi ha mai puntato una pistola contro. Che persona sono? A vent'anni non avevo mai ucciso un uomo in vita mia. La guerra ti sfigura dentro, ma per quanto sia un ammasso di pezzi staccati e morsi ho sempre voluto pensare di conoscere cosa sia la vera giustizia e saperla applicare. Uccidere i nemici... quello è un conto. Tutto un altro conto. Ma uccidere per proteggere la tana... 

Forse non mi è rimasto davvero niente, e mia madre non mi riconoscerebbe oggi. Sono un coyote più di quanto sia un essere umano. 

sabato 8 dicembre 2012

my own kind of niece



"Oh, che fai?"

Jack si chinò un po' di più con le spalle sul fuoco, tentando di combattere il freddo. Se nella tenda avesse avuto luce e riscaldamento, l'avrebbe preferita di gran lunga al falò con gli altri.

"Una cosa"
"Che è, una mucca?"

Non era una mucca. Era un cavallo. Un cavalluccio di legno, per la precisione, un giocattolo. Un soprammobile. Ci aveva messo due giorni per trovare il pezzo di legno perfetto. L'aveva sottratto al fuoco, con grande disappunto dei compagni.

"E' un cavallo"
"Aaaaah, ora lo vedo, yae. E che lo fai a fare?"
"Per una persona"
"E che persona?"
"Una ragazzina. Lo spedisco alla prima stazione postale che incrociamo"
"Non sapevo avessi una figlia"

Jack si strinse nelle spalle. Faceva un freddo porco. Come l'inferno all'incontrario, dicevano a Sweet Waters.

"Non ce l'ho. E'... una nipote. Una specie. Nata da poco"
"Nice... congratulazioni. Com'è che si chiama?"
"Cecilia V. J. Ritter Sterling"
"Un nome impegnativo"
"Abbastanza"
"V. J. per che sta?"

Jack scosse il capo.

"Che ne so. Vallo a capire che cazzo gira nella testa dei genitori"

Sorrise involontariamente mentre da sotto la lama sottile del coltellino iniziavano a spuntare le gambe dell'animale. Soffiò via la segatura e lo rigirò tra le dita, davanti agli occhi. 

"Bisogna trovarle un soprannome" ragionò ad alta voce.

"Mh?"
"Un soprannome. Altrimenti ogni volta che la chiami si fa notte. Una ragazzina ha bisogno di un nome rapido, per venire su bene. Disciplinata."

"Che ne dici di Cece?"
"Mmmh..."
"Cecil?"

Jack si passò la lingua sul labbro inferiore, sentendola congelare un attimo dopo. Freddo fottuto.

"Pensavo a Chuck"



lunedì 3 settembre 2012

my own kind of updates



Ritter è tornato.
Ha i capelli più lunghi e sorride più spesso, anche se in quel suo modo strano. Non abbiamo parlato di Sterling, non so cosa sappia. Non so se dirgli di andare a Safeport a starle accanto mentre Presta Donoway sta morendo o se invece di lasciarla in pace, di non distrarla. Vorrei stare dalle parti di Sunset Tower per ogni evenienza, ma Geary legato e sanguinante in uno dei nostri bunker mi inchioda qui. E poi c'è il tornado.

John è stato perfetto. Ha colpito esattamente dove doveva colpire. Non ha fatto un errore, non ha sbagliato un colpo. Non ha sbagliato un tempo o un movimento, non ha sbagliato un ordine. Non ha sbagliato niente. Ha gettato quel fumogeno senza il quale il cecchino mi avrebbe ammazzato. Ha continuato a coprirmi, restando sulla sua posizione. Ha fatto tutto bene.

Sono calma. Sapere Ritter in giro mi tranquillizza, e tutti i miei sono al sicuro, integri. Ho avuto un po' di febbre per la ferita, Ritter mi ha ricucito, ma ho la pelle dura e mi riprendo in fretta. Mi sento già meglio, presto potrò ridurre gli antidolorifici ed essere più lucida. Ho bisogno di essere in forze per Geary.

Ho due nuovi a bordo, un Carter e uno Schmidt. E una di Shadetrack, Hausten. Li ancora poco, ma mi incuriosiscono. E' così ogni volta che prendo gente nuova: mi trovo a fissarli e a chiedermi se diventeranno i prossimi Edwards, i prossimi Wright. O se invece passeranno come meteore, se troveranno un lavoro che paga meglio, con meno problemi.

Sto pensando molto a Casa. A Sweet Rivers, a come sarà. Se sono pronta a tornarvi o no. Mi tiene sveglia finché non sono esausta.

Vorrei avere un sonno senza sogni.

giovedì 5 luglio 2012

my own kind of busy




I morti vanno rispettati.

Mentre il ragazzino di Corona e una bambina di non so dove mi guardano come se fossi pazza, mi chino sul corpo freddo di Boyd Flynt e recito le parole che si recitano per i naviganti. Loro lo reclamano, dicono che è del ranch. Non sanno niente di Boyd Flynt. Non sanno che venne a parlarmi che non avevo ancora imparato il suo nome, mentre ferravo i cavalli. Mi disse che voleva viaggiare con noi, vedere il 'Verse. Che sarebbe stato leale, che gli piacevano i browncoats e non avrebbe dato problemi. Che avrebbe fatto anche il mozzo, non gli importava, voleva imparare un mestiere nuovo. Non voleva diventare vecchio su Greenfield. Mi disse non voglio diventare vecchio su Greenfield, tra le vacche. Fammi salire a bordo. Fammi viaggiare con te.

Non sanno che Boyd Flynt non era del ranch, non era nemmeno della mia nave. Boyd Flynt non voleva essere di nessuno. Non voleva un destino segnato, perché sapeva benissimo che a gente senza grandi talenti come lui tocca normalmente un destino noioso. Non voleva appartenere al ranch, né a noi. Voleva scoprire il 'Verse e morire con qualche bella storia da raccontare, da vecchio.

Lo riporto a casa sua con un thor, ripulito, dopo essermelo trascinato per tutta la nave fino alla stiva, temendo che quel dannato scorpione prendesse anche me. Gli ho messo degli abiti ordinati, li ho presi tra quelli lasciati da Scott. Mi chiedo se lui non sarebbe stato in grado di evitare tutto questo.

Lo riporto a casa, Boyd. I genitori piangono, io mi offro di pagare il funerale. La madre mi insulta, mi dice che è colpa mia, che a Oak Town lo sanno tutti che mi sono quasi fatta ammazzare al saloon, che lo sanno tutti io e il mio equipaggio siamo dei piantagrane.

You just ain't no good, mi dice.
You and your crew. You just ain't no good.

Il padre mi invita dentro e mi offre dell'alcol. Per un attimo penso che non dovrei bere sullo Zaleplon. Poi mi rendo conto che mi sta mettendo davanti un bicchiere del suo gin migliore, e che rifiutarlo sarebbe una mancanza di rispetto. Bevo un sorso, tengo gli occhi sul gin. Lui inizia a raccontarmi di quando suo figlio era piccolo. Di come fosse insoddisfatto, sempre, di come fosse curioso. Di come fosse cresciuto triste, di come quella tristezza si alzasse come un sipario ogni volta che diceva che sarebbe partito con la nave di Jack Rooster. Dannato il giorno in cui ti ha incontrato, Jack Rooster. E benedetto quel giorno, perché gli ha dato un po' felicità prima di morire. Mi dice questo. Mi dice che nessun genitore dovrebbe seppellire suo figlio. Resto con lui ancora un po', poi mi alzo, saluto rispettosamente e me ne vado. Porto il thor alla stalla di Shamrock e lì prendo il cavallo. Lo preferisco al guidare, di molto. Ho bisogno di pensare.

Sulla strada penso, quindi. John è partito verso Richleaf, in un viaggio della speranza. Forse si salverà, forse no. Forse avrei dovuto permettere al ragazzino di Corona di aprire Flynt in due e prendere il suo polmone, e riportarlo ai suoi genitori con un taglio nel mezzo del petto e più leggero di un organo. Penso a John intubato. Penso a John che da intubato mi ha forse risolto un problema. Penso che ho fatto bene a mandare il ragazzino di Corona con lui. Penso all'elettricità.

Sono preoccupata per Ritter. Nessuno sembra sapere niente di lui, e quando arrivo al ranch nessuno sembra stia facendo niente per sapere di lui. Neville non ha idea di ciò che sia successo, né di dove si trovi. Roona Mei sa che è stato arrestato, ma non ne conosce le condizioni né la posizione. Quando vado a buttarla giù dal letto per farla lavorare, dico a Sterling che non sappiamo molto, ma che qualcuno ce l'avrebbe detto, se fosse morto.

Quando esco dalla sua stanza, incrociando Zoya per poco, mi chiedo se non le ho mentito. Sono le quattro del mattino e devo trovare un posto dove dormire. Sterling mi dice di prendere la sua stanza, io le rispondo che al ranch non ci posso stare. Le dico di fare il lavoro che ho detto di fare a lei e alla Thomson. Che non abbiamo tempo.

Non ci posso più stare, al ranch.

Dormo da un'affittacamere appena fuori Oak Town, che ad un prezzo modico mi permette anche di far bere e mangiare il cavallo. Acab mi segue ma non si avvicina, io capisco che deve fare di nuovo l'abitudine alla mia presenza. Un paio di spine e qualche ferita superficiale mi fanno pensare che abbia passato questo lungo tempo nei boschi, a cacciare. L'ho esaminato. Non ci sono segni che facciano pensare all'attacco di uno scorpione.

Dormo un paio d'ore. Mi sveglio presto, esco presto. Mi carico una ragazzina lungo la strada e la porto alla redazione dell'Oak Town Gazette, il giornale più raro di tutto questo pianeta. Sveglio il caporedattore impegnato a smaltire sulla sua scrivania la sbornia del giorno prima, gli dico che ha del lavoro da fare e quando protesta gli poggio cinquanta dollari sul tavolo. Alla ragazzina ne do venti.

Faccio inoltrare due richieste all'Ottava Flotta, simili e con nominativi diversi, formali, ognuno dei quali chiede delle sorti di Eleazar Ritter. Un comunicato prestampato ma ancora non diffuso arriva sui terminali. E' vago, dice che Ritter è vivo e che è a Horyzon. Faccio mandare dalla ragazzina un altro messaggio in cui chiedo più specificatamente dove si trovi Ritter, che è diritto di chi chiede saperlo, che è diritto suo ricevere visite.

Rispondono dopo quarantacinque minuti. Dicono che è Capital City, al General Hospital gestito dalla Blue Sun. Do alla ragazzina altri cinque dollari e le dico di scrivere dal mio cortex-pad ai seguenti contatti: Vergil Neville, Eivor Edwards, Roona Mei Wilson e Eir Sterling. Le dico di scrivere che Ritter è stato ferito, che è stato curato e che è fuori pericolo. Le dico di scrivere che è al General Hospital di Capital City, Horyzon.

Esco dalla redazione non appena ha inviato il messaggio. Sono calma, ma sono ancora preoccupata per Ritter. Ma almeno ho scoperto qualcosa.

Ora non mi resta che cacciare a calci in culo uno scorpione gigante dalla mia nave.

domenica 1 luglio 2012

my own kind of quiet








Sono calma.

Calma, mi sfoglio al contrario alla ricerca dell'ultimo ricordo positivo che ho non legato a morti ammazzati, non legato alla lotta e ai pochi successi che ci siamo conquistati col sudore della fronte.

Il sudore della fronte. Mi poggio la mano sulla testa e la sento bollente. Mi poggio la mano sul cuore e lo sento bollente. Non voglio sentirmi così. Non voglio più sentirmi così. Voglio sentirmi calma, quieta. Pagina dopo pagina, cerco l'ultima volta in cui sono stata quieta. 

Montavo l'amaca per Scott. Ero sicura di avere un paio d'ore, durante il suo turno di ronda. Senza fretta, pensavo alla faccia che avrebbe fatto vedendola lì. Ero calma, il natale è una festa che mi è sempre piaciuta, anche dopo la guerra. Ero calma e quieta mentre mi stendevo sull'amaca e la provavo, dondolandola e chiedendomi se avrebbe retto due persone.

Cercavo un libro ad una bancarella. Alcuni li avevo già letti, molti invece non li avevo mai neanche aperti. Cercavo un libro ad una bancarella per il compleanno di Roona Mei, pensavo a mia madre che leggeva le storie a tutti i bambini di Madrida di fronte al falò e a Scott che se ne era andato, ma ero calma, ero quieta. Anestetizzata dalla consapevolezza che non avrei potuto fare di meglio. Anestetizzata dal rileggere quel vecchio racconto, Il Gabbiano. Tenerlo tra le mani e sfogliarlo. Mentre scorrevo le parole, sentivo in testa la voce di mia madre che lo leggeva. 

Roona Mei e Scott non sono pensieri giusti. Non sono ricordi giusti, col senno del poi. Il senno del poi getta tutto in ombra.

Dormivo sulla Almost Home per la prima notte dopo averla comprata. Mi ero scelta una cabina spaziosa e vuota, ci avevo portato un materasso sottile che, mi assicuravano, era stato interamente spulciato, e una coperta da metterci sopra, così da potermi stendere. Senza cuscino, dopo la nostra prima cena insieme da equipaggio, fumavo un'erba profumata in grado di rilassarmi i muscoli, e mi rendevo conto che, da quando ero partita per la guerra, era la prima volta che possedevo qualcosa, che avevo una cosa mia. Ed ero quieta, ero calma.

Ero dietro il saloon, con la schiena premuta sul muro esterno e una siringa nel braccio. Ritter tirava via l'ago e mi diceva che dopo poco avrebbe fatto effetto. Io sentivo il dolore scivolare via come sciacquato dall'acqua fresca in estate, e tutti i terribili pensieri che si erano agitati fino ad un attimo prima tornavano in ordine, diventavano semplici e luminosi. Ogni cosa era rischiarata dalla propria luce, ogni cosa aveva un senso perfetto ed era inserita in un puzzle che combaciava senza forzature, restituendomi un'immagine chiara e accogliente del futuro e del passato. Tutte le cose insensate avevano un senso. La guerra, le persone che ho incontrato, tutti i passi che ho fatto, Cain che moriva tra le mie braccia, il funerale di Blackbourne, John Cassidy che mi cacciava dalla sua nave, ogni cosa aveva un ordine preciso, ed ero svuotata di tutto il rancore, di tutto l'amore, di tutta la felicità, di tutto il dolore e della rabbia. Ero calma. Ero quieta. 

Ero poggiata contro il bancone di Jimbo, con un dolore così forte da farmi riempire gli occhi di lacrime. Avevo il respiro affannato e gli occhi stretti, e sentivo di poggiare le mani nel mio stesso sangue. Affogavo nelle mie emorragie mentre intorno a me continuavano a sparare e a spararmi, e pensavo a quando mia madre ci portava in chiesa a sentire il reverendo Pelton parlare del paradiso e di come tutti abbiano un loro destino e un loro tempo, e di come fare il volere di Dio voglia dire compiere il proprio destino, morire al momento giusto, e che alla fine Dio ci avrebbe perdonati tutti, perché dio è perdono e misericordia e bene infinito. Ero poggiata contro il bancone di Jimbo e stavo morendo.

Ero calma.

Ed ero quieta.



oh mother, I can feel the soil falling over my head, / and as I climb into an empty bed, / oh well, enough said, / I know it's over still I cling, / I don't know where else I can go, over. / oh mother, I can feel the soil falling over my head, / see the sea wants to take me, / the knife wants to slit me, / do you think you can help me, / sad veiled bride please be happy, / handsome groom give her room, / loud loutish lover treat her kindly, / though she needs you more than she loves you, / I know it's over - still I cling, / I don't know where else I can go - over; over. / I know it's over and it never really began, / but in my heart it was so real, / and you even spoke to me and said, / "if you're so funny, then why are you on your own tonight?" / "and if you're so clever then why are you on your own tonight?" / "and if you're so very entertaining then why are you on your own tonight?" / "and if you're so very good looking, why do you sleep alone tonight?" / I know,/ because tonight is just like any other night, / that's why you're on your own tonight, / with your triumphs and your charms, / while they're in each other's arms, / it's so easy to laugh it's so easy to hate, / it takes strength to be gentle and kind, / over and over and over. / it's so easy to laugh it's so easy to hate, / it takes guts to be gentle and kind, / over, over. / love is natural and real, / but not for you my love, / not tonight my love. / love is natural and real, / but not for such as you and I my love, / oh mother, I can feel the soil falling over my head, / oh mother, I can feel the soil falling over my head, / ohhh-ohh, / oh mother, I can feel the soil falling over my head.

mercoledì 30 maggio 2012

my own kind of wall







Sterling che fa un passo avanti mi ferisce.

Sterling che fa un passo avanti per proteggere Ritter da me mi ferisce. Mi mette sul piano dell'aggressore, del nemico. Mi mette sul piano della persona di cui non ci si può fidare, della pericolosa, della violenta, della rissosa omicida.

Sterling che si mette sulla mia strada verso Ritter equivale a Sterling che mi urla in faccia di non fidarsi di me, di aver rivisto le sue priorità, di aver sistemato le posizioni, di aver messo un uomo prima della mia nave e della causa.

Sterling che estrae una pistola davanti a me, mentre cammino verso Ritter, è il mio ufficiale meccanico che ignora i miei ordini.

Sterling che estrae una pistola davanti a me, mentre cammino verso Ritter, è una delle persone di cui più mi sono fidata nel momento in cui diventa mia antagonista.

E' un cane pacifico che decide di mordermi, è il terreno che mi frana sotto i piedi, il tuono in una giornata di sole pieno. E' Cole Scott che mi urla che non valgo niente, che un giorno avrò anche io paura di lui. E' un incubo ricorrente.

E' sbagliato.

Non c'è più niente che non lo sia, in questo 'Verse.

your defenses were on high / your walls built deep inside / yeah I'm a selfish bastard / but at least I'm not alone / my intentions never change / what I wanted stays the same / and I know what I should do / it's time to set myself on fire / was it a dream?

lunedì 28 maggio 2012

my own kind of public relationship


Con Roona Mei al capezzale di Thomson e Sterling uguale, mi sono ritrovata a dovermi occupare di mille cose che al ranch non ho mai fatto. La mattinata intera al banco della frutta e verdura alla piazza del mercato, per dirne una: mai vista una trafila di individui con richieste più ridicole. E i carciofi né piccoli né con le spine, e le pesche noce, e i cavoli verza che non sono uguali ai cavoli cappuccio, e come mi consigli di cucinare queste rape, e quali sono le carote buone per lo stufato, e queste mele che mi hai dato sono tutte ammaccate, e dove stanno i cavalli che ci stanno di solito? Appena è passato Carradine gli ho mollato tutto, e poco me ne fregava che fosse solo passato per portare i cavalli che mi ero scordata. 

C'era quel tipo, quel Mickey, l'oste nuovo dei Marshall. E' uno strano, che non porta armi con sé perché "non gli piacciono" ma che potrebbe voler imparare ad usarle per proteggere "qualcuno", quella di cui è innamorato, dice lui. Deve essere stagione, sono tutti con gli ormoni strani.

Non so se Sterling e Ritter si sono resi conto di ciò che ho fatto. Non so se si sono resi conto che, per quanto volessi sbattere le loro teste contro il muro fino a sfondarlo, non avrei mai ucciso Ritter. Non so se si sono resi conto che quello che li ho obbligati a fare non l'ho imposto solo per tutelare noi, ma anche per proteggere Ritter. Da me. Gli ho dato un biglietto per entrare nella mia famiglia - perché Sterling, nonostante mi abbia deluso, resta famiglia -, una garanzia che non gli farò mai del male, perché non faccio male ai miei. L'ho costretto ad essere dei miei perché in questo modo non potrà sottrarsi. Perché il matrimonio tiene la gente insieme anche quando non si sopporta più, perché in questo modo - quando avrò Sterling col cuore spezzato a bersi l'anima in sala macchine - non dovrò preoccuparmi di prendere il revolver e andare a cercare il suo ex-fidanzato che, senza più il collegamento che li tiene uniti, diventerebbe un rischio che non possiamo permetterci di correre.

Sono stanca. Sono esausta, a ben vedere. La gamba non mi ha mai fatto così male, a volte il dolore mi fa venire le lacrime agli occhi. Di notte, soprattutto. Mi stordisco di antidolorifici finché non sento più neanche il peso della mia vita. John Cassidy diceva che c'è solo un certo numero di cose che una persona può sopportare, e che dopo averle sopportate tutto basta, fine, non può reggere nient'altro. Giorno dopo giorno mi sento sempre più vicina a quel limite. 

Però prendo respiri profondi fingendo che vada tutto bene, che non ci pensi mai a tutto questo. Che non pensi mai a lui, che non sia andata quel pomeriggio a Safeport a cercare il suo tatuatore a Sunset Tower per farmi dire che non torna a casa sua da una vita, che non sia andata a cercare conforto sul corpo di una puttana che puzzava di sudore.

Uno in completo di Koroleva mi ha chiesto, oggi al mercato, se faccio ciò che è giusto. Io gli ho ripetuto quello che diceva mia madre, e che faccio ciò che devo. 

Spero solo di avere abbastanza forze da continuare a farlo.


giovedì 5 aprile 2012

my own kind of secrets

2495, Mexican (Shadetrack)

"Oh, ma che fai?"
"Tanto Sam ci mette un'ora a vendere quei cavalli"
"Sai che culo ti fa se scopre che sei andato al porto spaziale?"
"Be', ce lo farà ad entrambi, visto che mi hai seguito..."

Cain Rooster sorride da sotto il cappello che getta in ombra un viso giovane e arrogante, sul quale si affacciano i primi fili di barba. Jack ha tredici anni, capelli arruffati sotto una bandana rossa, degli stivali vecchissimi che suo fratello usava da bambino.

Il whisky inizia a non fare più effetto, sulla gamba. Forse sono tutte queste notizie, queste chiacchiere. Cosa ha detto che è? Istinto. Si fida per istinto... e io posso fidarmi a tal punto di lei da credere al suo istinto?

"D'accordo, ma diamoci una mossa. Che ci siamo venuti a fare qui, comunque?"
"Così, volevo dare un'occhiata"
"E che c'è da vedere? Un branco di ladri spaziali che nel tempo libero trasportano vacche"
"E puttane a volontà e gente di malaffare... sai cub, inizi ad avere una certa età, mica devi credere a tutto ciò che dicono mamma e Sam"
"Non chiamarmi cub..."

Devo fidarmi del suo istinto, anche se ha giocato col suo corpo in quel modo? Dice che l'aveva fatto pure Blackbourne, insieme a lei. Ma non è una cosa naturale. Dio non c'entra niente, ma se nasciamo con due gambe, due braccia e una testa e basta, un motivo deve esserci. Quei giochi genetici hanno fatto impazzire Jim, ne sono quasi sicura. E' uscito fuori di testa. Altrimenti non avrebbe fatto ciò che ha fatto.

"Guarda quella... è una classe firefly"
"E tu che ne sai?"
"Ho trovato delle foto con Tom."
"Il giovane dei fratelli Barclay?"
"Quello è Tim. Il maggiore."
"I Barclay sono teste matte"
"Pensavo ti piacessero proprio per questo, no?"
"Perché stavate ad informarvi sulle navi, tu e Tom Barclay?"

Ma almeno me l'ha detto. Me l'ha detto subito, è più di quanto abbia fatto Scott col suo. Dovrei prenderlo come un gesto di rispetto. Forse lui ha ragione quando dice che non ci vedo bene. Forse dovrei rassegnarmi al 'Verse che cambia, a queste puttanate che ci dicono di iniettarci nelle vene per essere migliori.

"Sai mantenere un segreto, Cub?"
"Non chiamarmi Cub"
"Lo sai mantenere o no?"

La tredicenne solleva una mano e dà un pugno sulla spalla del fratello.

"Io il tuo culo lo copro da quando da ragazzini andavamo a rubare le mele alla vecchia vedova Smith".
"Sarebbe un sì?"
"Aye. Che segreto?"

Niente più segreti sulla mia nave. Non ne voglio. Allora le ho detto il vero motivo per cui sono andata via: che dovevo tenermi lontana da Capital City. Che lì c'è il resto della mia famiglia, e che la mia famiglia non vuole avere niente più a che fare con me. Che Scott non ce l'ha con me perché ho lasciato la Almost Home, ma perché ho lasciato lui. Le ho anche detto che la resistenza ha bisogno di gente come loro: ha bisogno di lei, di Scott. Di persone che sappiano costruire. Io so solo distruggere. L'ho detto anche a lui: io dentro ho solo rabbia, e il giorno che la rabbia non servirà più, io non sarò niente. Mi va bene così. Non sto combattendo per un 'Verse in cui vivere. Il mio treno è passato, lo capisco, l'ho visto. Sto combattendo perché magari a qualcun'altro servirà un mondo libero. Combatto perché se non lo faccio io, lo farà qualche idiota pronto a lasciare famiglia e amici per i suoi ideali. Io non ho più niente da perdere. Io sono sacrificabile.

"Io e i Barclay stiamo mettendo da parte un po' di soldi... tempo qualche anno e ne avremo abbastanza da comprarci una nave usata."
"E che ci vuoi fare con una nave usata?"
"Ci mettiamo in affari... in affari veri, interplanetari."
"Non hai mai messo il muso fuori da Shadetrack e ora vuoi viaggiare?"
"Aye. Voglio un po' di avventura, Cub, un po' di rischio. La vita è una sola, no? Non la passerò tutta a lavorare nei ranch o a condurre manzi."
"Tu ti sei bevuto il cervello, Cain"
"Te lo farò vedere, Jack. E se diventi brava a fare qualcosa, ti farò lavorare sulla mia nave"
"E come si chiamerebbe questa nave?"
"Non lo so, dobbiamo ancora pensarci"

La gamba mi fa sempre più male, dal funerale di Blackbourne. E la paura del buio è peggiorata. Adesso ci metto sempre più tempo anche a chiudere gli occhi, la notte. Ieri un'ora solo per decidermi a tenerceli chiusi. Un'ora, due joint, tre birre.

"Che te ne pare di Almost Home?"
"Mh?"
"Be', se vuoi mandare a puttane tutto, prendere una nave e partire tanto vale che ti porti dietro un pezzo di casa, no?"
"Almost Home... mi piace."
"Almost Home"
"Penso che potrebbe diventare la mia nave".