sabato 3 agosto 2013

my own kind of fading courage




Bolivar è morto.

Ne è sicura - sono giorni che non pensa a nient'altro, dal momento esatto in cui il portellone della Leviathan si è richiuso alle sue spalle e lei non era a bordo. Il proiettile non era entrato nel cranio, ma il sangue a terra era più di quello che una persona può perdere senza morire. Muove i polsi anchilosati, li ruota, li tende, e l'unico risultato che ottiene è far avvicinare le corde alla carne un millimetro in più. Più ci pensa, più nel petto le si scioglie un grumo di rassegnazione. Se lo sente colare sulle costole e dentro i polmoni. Trasuda fin dentro le vene ogni volta che respira, contagia il sangue e dal sangue si fa trasportare fino ai capillari più sottili. Le fa venire sonno (non fa che dormire, non può fare nient'altro). Le portano da mangiare ogni giorno, tre volte al giorno, e lei mangia lentamente ogni cosa senza sentirne il sapore. Un uomo con un occhio bendato la guarda in silenzio per ore, annoiato e con lo sguardo pieno di diffidenza. Non parla, però, e Jack fa lo stesso. Impiega un'ora per finire ogni pasto, come se anche masticare e deglutire fosse diventata una pericolosa professione di intenti. Mangia per inerzia. Ogni tanto, la notte, quando prende due pasticche invece di una sola e il sonno diventa più pesante, si riscuote violentemente dagli incubi e passa infiniti momenti a ricacciare in gola il vomito. 

Nel complesso è in salute, comunque. La trattano bene, meglio di quanto lei tratterebbe loro a parti invertite. Non essere scossa, colpita o insultata è - incredibilmente - ciò che le ha permesso di scivolare nella comodità dell'alienazione. Quando è sveglia, impiega il grosso dei propri sforzi a pensare a dettagli irrilevanti di ciò che la circonda. Guarda spesso le scarpe dell'uomo con la benda. Ne percorre con gli occhi le cuciture e immagina una mano sottile che, con ago e filo, ne cuce insieme i pezzi punto dopo punto. 

Bolivar è morto e io mi sono consegnata in cambio di un cadavere.

Sam aveva ragione. Forse non è così, forse Sam non voleva dire questo, ma nella sua mente i ricordi si confondono e si coalizzano contro di lei. Non puoi mantenere la lucidità se dormi con un membro dell'equipaggio: è sbagliato e prima o poi ti presenterà il conto. Nel buio, Jack si stende con la schiena sul materasso sottile e cerca con le mani giunte la targhetta militare che ha sotto i vestiti. La stringe nei palmi e poi la fa scivolare vicino al volto. E' caldo e non arriva aria a sufficienza: una patina di sudore le copre la fronte, ma il piatto metallico della piastrina è fresco. Passa la bocca sulle fessure che compongono le lettere. Le legge con le labbra e raccoglie un leggero sapore di ferro che le è familiare. Se si mordesse molto forte il labbro, potrebbe far raggrumare il sangue. Ci rinuncia.

Si concentra invece su altri dettagli inutili: sulla torta di mele di sua madre. Spazza via frettolosamente ricordi come il profumo delle mele cotte e l'ostinazione con cui lei e Cain si scottavano la lingua ogni volta perché non aspettavano abbastanza per far raffreddare il ripieno. Getta gli occhi all'indietro e pensa invece alle proporzioni tra gli ingredienti (potevo lasciare indietro il corpo e ritirare), ai tempi e ai modi di cottura (sarebbe morto ugualmente ma io sarei sopravvissuta), al giusto trattamento delle mele da mettere nell'impasto (avrei dovuto dire che Roscoe non fa scambi e che potrebbero anche prendere Dio in persona, Black e i suoi due sgherri marciranno in prigione), a dove trovare gli strumenti per setacciare la farina (io marcirò sotto terra straniera)

Bolivar è morto e io mi sono consegnata per non doverlo seppellire.

Avrebbe compiuto trentadue anni oggi. E' sopravvissuto alla guerra di resistenza su Blackrock e a Serenity Valley - pochi sono sopravvissuti a Serenity Valley -, ed è morto ammazzato dalla pistola di un criminale comune. Se ognuno ha il proprio nome scolpito su un proiettile, pensa Jack, Renee Bolivar avrebbe potuto vivere una lunga vita senza doverlo mai incontrare. Il suo posto era in groppa ai tori da rodeo, e se ci fosse rimasto avrebbe comunque potuto vivere su Bullfinch libero. Si strofina gli occhi nascosta dietro il quarto di tenda che le è stato concesso come bagno, uno alla volta perché non può separare le mani. Il petto le si appesantisce tanto da premerla sempre più in basso. La trascina a fondo, le riempie lo stomaco di panico silenzioso. Nel tubetto di analgesici ci sono ancora dieci pasticche. Basterebbero. Se le rovescia sul palmo della mano, le conta di nuovo, le preme sulle labbra chiuse mentre l'uomo con la benda la esorta a darsi una mossa. 

Bolivar è morto ed è colpa mia, trova la sua eco nel cervello e si spande. Cain aveva trentacinque anni quando una granata gli ha stanato la vita dal corpo, e lei ne ha trentatré ora che vorrebbe strapparsi i capelli solo per ravvedersi del più grande errore che ha compiuto da trent'anni a questa parte - pensare che le cose sarebbero potute migliorare. 

Manda giù una sola pillola, le altre le rimette nel tubetto. Sua madre non aveva pietà dei suicidi, e lei non vuole pensarla delusa. Sono le otto di mattina e fa caldo; qualcuno entra con la colazione. Lei la consuma in silenzio mentre l'uomo con la benda la controlla. Torna a pensare ai dettagli.





Do what's easy
steal every red cent out of the wishing well
smoke cigarettes ‘til your chest rattles like hell
just do what's easy

Waste every evening 
don't ever read and don't ever write
never leave home and get drunk every night
just do what's easy

Hate completely
let every wall feel the force of your fist
forget your debts cause forgiveness exists 
just do what's easy

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