martedì 11 ottobre 2011

my own kind of home

Sono nata e cresciuta in una casa in cui non girava molto oro, ma giravano i soldi necessari per sopravvivere. Mia madre e mio zio si sono spaccati la schiena per crescere due figli e dar loro un'istruzione e un'educazione dignitosa. Shadetrack era un bel posto, per farlo: praterie immense, lunghi fiumi dal letto placido, un piccolo villaggio con tutto ciò che era necessario per rilassarsi dopo il lavoro, un villaggio più grande e più distante per andare ad esporre e a vendere i capi di bestiame dei rancheri della zona, per cui lavorava mio zio e per cui, più tardi, avremmo lavorato anche io e mio fratello.

Di quella prima casa ho ricordi ancora vividi, seppure i particolari si confondano ogni tanto nella mia memoria. Ricordo il rumore del pollaio di mia madre, le uova fresche a colazione, la mattina, lo scricchiolio del mio letto. Dormivo in stanza con mia madre, mentre mio fratello dormiva con mio zio. Ricordo l'incendio che ne distrusse una parte quando avevo quattordici anni, e poi l'ostinazione di tutta la mia famiglia nel ricostruirla, l'aiuto degli amici che io e Cain avevamo e, soprattutto, tutti gli uomini e le donne che amavano mia madre - la maestra del villaggio di Madrida - e mio zio, un lavoratore instancabile, un cowboy coraggioso come non ne fanno più.

Ricordo che rimasi stupita, ammirata nei confronti dei miei parenti. Ricordo che pensai che, a trenta o quarant'anni, avrei capito di essere una buona persona in base a quante persone mi avrebbero aiutato nel momento del vero bisogno.

Quando compii diciassette anni - lavoravo già da un anno o poco più - io e Cain decidemmo di affittarci una casa per conto nostro, un posto tranquillo tra Madrida e il centro cittadino più grande dei dintorni, Mexican. Ci permetteva di muoverci più agilmente con il lavoro e, allo stesso tempo, non ci allontanava troppo dalla nostra famiglia. Qualche tempo dopo nostro zio si ritirò, lasciandoci tutti i suoi clienti, e quattro anni dopo Cain si sposò e si trasferì di nuovo a Madrida, dove sua moglie esercitava la professione di medico.

Maryanne, lei era... sveglia, intelligente, anche molto bella. La conoscevo bene già da un po', e sapevo che presto o tardi sarebbe stata lei a mettere le briglie al ragazzo - perché per molti versi era ancora un ragazzo - scalmanato e arrogante che era Cain.

Restai quindi sola in una casa ormai soltanto mia, ma mai per troppo tempo: il lavoro mi portava lontana per mesi, e le praterie le conoscevo ormai così bene che anche i cieli notturni, ormai, mi sembravano un tetto sotto il quale ripararmi. Quando tornavo a casa visitavo spesso la famiglia e, per qualche mese, condivisi la casa con altri due amici che, come me, spostavano mandrie: Raynold Droper e Thomas Temple, due ragazzoni chiassosi ed espansivi che più tardi sarebbero stati arruolati nell'undicesimo reggimento dell'esercito indipendentista.

La guerra non era più casa mia. Se fossi stata su una nave, forse... ma ero nelle truppe di terra, e il terreno umido di fango e sangue delle trincee non mi sembrava mai sicuro. Continuavo a pensare a casa mia, però. Forse è questo che mi ha sempre impedito di diventare un eroe decorato: non sono mai partita come volontaria per proteggere l'intero rim esterno, ma soltanto casa mia. Non pensavo ai massimi sistemi né a grandi e complicati ideali, mentre combattevo, ma soltanto alle facce della manciata di persone che volevo salvare.

La guerra cambiò tutto. Vedendo Shadetrack distrutta, mi sentii un po' morire. Seppellendo mio fratello pensai che non sarei potuta appartenere più a nessun posto. Quando John Cassidy mi poggiò la mano sulla spalla e mi disse: "non ha senso che resti qui, vieni con noi", guardai la Lucky Bastard da lontano, sorrisi sentendomi ancora l'amaro in bocca e gli dissi: "non ci ha portato molto fortuna".

Forse me ne portò nei due anni seguenti, un po' di quella fortuna di cui era stata sempre avara: non ho ancora ritrovato Maryanne e Sean, ma tornai ad abituarmi ad avere persone attorno, seppure quelle persone non fossero che una manciata di ex soldati feriti quanto me riciclatisi come criminali e contrabbandieri. Froome, Nadia, Luther, Rob: c'erano tutti quando passai la mia ultima serata sulla Bastarda Fortunata, a dirmi di restare, a darmi consigli sulla vita, e ubriacarsi e a mangiare cibo vero, comprato esclusivamente per l'occasione.
C'erano tutti, tranne il capitano Cassidy. John. E la cosa non mi sorprese affatto.

Ora percorro i corridoi di questa nave alla quale non mi sono ancora abituata. L'ho chiamata Almost Home, perché voglio sentirmici a mio agio, ma non troppo: non voglio dimenticare che una casa vera ce l'avevo, una volta. E non voglio dimenticare chi me l'ha portata via.

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