giovedì 3 novembre 2011

my own kind of justice

A nove anni vidi il primo condannato a morte. Ero a Mexican, sfuggita al controllo di mio zio impegnato in una vendita di cavalli. L'uomo sulla forca aveva un aspetto vecchio: capelli e barba ingrigiti, qualche dente mancante, uno sguardo opaco. Le sue ultime parole, prima che aprissero la botola sotto i suoi pedi, furono: "se potessi tornare indietro, ammazzerei quel bastardo altre cento volte".
Ripensandoci, più avanti, decisi che la vendetta non avrebbe mai dovuto guidare le mie azioni. Cos'è che mi muove adesso non mi è molto chiaro, ma sono abbastanza sicura che la sparatoria di ieri non avesse niente a che fare con la vendetta. Non per me, almeno.

Era vendetta per la Winter, forse: Randolph è riuscito a farle perdere quello sguardo distaccato e inespressivo che ha di solito, mettendole in gola una buona dose di rabbia: abbastanza da commissionare un omicidio, almeno. Un eccidio, lo chiamano.

Era vendetta per Buck. Il ranch è casa sua, i lavoratori del ranch la sua famiglia: se i luddisti avessero ammazzato un membro della mia, di famiglia, non avrei esitato un istante a portarmeli tutti all'inferno, ad ogni costo.

Era vendetta anche per la ragazzina, quella Summer Cotton, con la paura che le si sentiva sulla pelle e una pistola troppo impegnativa per lei tra due mani che hanno smesso di tremare solo per un brevissimo istante, l'unico istante che le serviva per premere il grilletto e centrare uno dei seguaci di Randolph.

Probabilmente era vendetta anche per Jim, pagata al prezzo di un dardo conficcato nella spalla che però non ne ha compromesso l'animo e la capacità di sparare.

Non per me, comunque.

Per me era Giustizia. La Giustizia più antica del mondo, quella che vuole vite in cambio di vite, equa e retta. Era protezione: Buck, o Jim si sarebbero potuti trovare in quel capanno esploso al posto dello sconosciuto che ci è morto dentro, e di cui adesso restano solo le ossa bruciate.

Nonostante ciò, ho questa sensazione di cui non riesco a liberarmi, questo peso sullo stomaco, questo freddo sulla pelle che ho dai tempi della guerra, e che mi torna addosso ogni volta che uccido qualcuno. La sensazione di star sbagliando, in qualche modo. La paura, il terrore di essere nel torto, di aver fatto male i calcoli, di aver ammazzato delle persone innocenti, o comunque non completamente colpevoli.

So che non è così, che non è questo il caso. Ma mi è già successo prima d'ora. Mi è successo in guerra e mi torna in mente ogni singola volta che chiudo gli occhi, che sbatto le palpebre. In ogni momento di buio mi torna addosso, insieme a tutto il resto.

Ho ammazzato due preti, comunque, insieme agli altri. Due preti assassini a loro volta, ma due preti.

Dio non deve avermi molto in simpatia, in questo momento.

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