mercoledì 12 ottobre 2011

my own kind of jail

Una coperta e degli antidolorifici.

Tutto quello che mi serve per passare le notti in questo buco di cella dell'ufficio dello sceriffo di Oak Town. Puzza, si gela e la gamba mi sta uccidendo, ma cristo, il motivo per cui ci sono finita valeva ogni singolo fottuto istante passato in questa topaia.

Ho anche pensato di prenderlo a pugni, Gibbs. Al primo richiamo: ho pensato di estrarre il mio numero identificativo, andare a porgerglielo, e poi dargli un pugno così forte da rendere addirittura meno sopportabile di quanto sia adesso quella sua fottuta faccia del cazzo che si ritrova.

Ho pensato all'equipaggio, però. Alla Almost Home.

E nonostante ciò, eccomi qui: l'unica compagnia è il tizio che suona l'armonica nella cella accanto. Chiacchieriamo ogni tanto, anche se non sono ancora riuscita a vedere la sua faccia. Quando suona sto zitta, e quando suona la sera me lo godo e basta. Un paio di volte mi sono anche addormentata. Per mezz'ora, o qualcosa così.

Non ci sono mai stata, in prigione. In guerra non mi hanno mai catturata e le corde che mi legavano alla mia famiglia, per quanto strette fossero, erano sempre lunghe centinaia di miglia.

Nessuno mi aveva messo delle manette, prima d'ora. Più ci penso, più mi sembra l'atto più vigliacco che un uomo possa fare: togliere al proprio avversario ogni modo di rispondere all'offesa, immobilizzandolo invece di affrontarlo come una persona con le palle farebbe. Non mi sorprende che quel fantoccio, quel quarto di uomo di Gibbs abbia bisogno di certi metodi, lui e i suoi compagni.

Non dureranno molto, però. E lui, lui durerà meno di chiunque altro.

Fumo, e con la mano sinistra tocco la catenina militare che ho al collo, la snocciolo anello per anello come se fosse un rosario e poi arrivo alla targhetta. Non ho bisogno di guardarla, sento sotto le dita ciò che ci è scritto: tempo e intemperie non l'hanno eroso.

Mi stendo sulla branda e chiudo gli occhi, ma non riesco ad addormentarmi: sul petto mi pesa la mia prima e la mia peggiore gabbia.

Quella dalla quale non mi tira fuori nessuno.

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