domenica 16 ottobre 2011

my own kind of rage

Non tutti capiscono perché sono così arrabbiata.

Metà dell'universo ha perso qualcuno in guerra, del resto, e buona parte di quella gente ha cambiato vita, l'ha superato. Io che mi ostino a marciare nella stessa direzione di due anni fa e non mi sento ancora arresa alla sconfitta.

Quando misi piede per la prima volta a Serenity Valley non mi interessava più molto, della guerra. Tutto ciò che volevo era farla finita con le armi, gli spari, i morti. La notte andavo a dormire, ma come tutti non dormivo veramente: tenevo sempre i muscoli tesi, la mascella bloccata, come se mi aspettassi di morire da un momento all'altro. Non mi sono mai arresa, però. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta, che avevamo qualche chance di vincere. Immaginavo come sarebbe stato tornare a casa da vittoriosa, e ingenuamente immaginavo casa esattamente come l'avevo lasciata.

Cain morì nell'ultima grande carica. Un'ora dopo, capii che avevamo perso quando vidi gli Shangdi dell'Alleanza bombardare la valle, interamente. Un unico momento di lucidità in cui mi apparve chiaro che la guerra sarebbe finita un'ora dopo la morte di mio fratello.

Non finì lì, però. Passarono tre giorni prima che la pace venisse firmata, e quindi prima che qualcuno venisse a raccoglierci. Ricordo quelle notti passate spalla a spalla con cadaveri in via di putrefazione. Quando finalmente arrivarono i soccorsi, e iniziarono a scavare le fosse, dovetti trafugare il corpo di mio fratello per riportarlo a casa, sulla nave di John Cassidy. Quella nave su cui passai i due anni successivi.

La rabbia iniziò lì, credo. Quando realizzai che non avevo più una casa né una famiglia, quando iniziai a rendermi conto che ogni luogo buio mi ricordava quei tre giorni passati tra morti e moribondi prima dell'arrivo dei soccorsi... quando capii di essere irrimediabilmente rotta, prosciugata di qualsiasi cosa che non fosse una rabbia cieca capace di mangiarmi il cervello.

Mi misi nei guai, più volte. A Reno, all'inizio, aggredii un uomo che disse di aver fatto una tacca sul suo fucile per ogni indipendentista ammazzato: un labbro spaccato lui, due costole incrinate io. Un occhio nero e il naso rotto, più tardi, quando vedendomi col marrone addosso un uomo si rivolse a me dicendomi che dovevo rassegnarmi alla sconfitta. E ancora così, per mesi, per due anni. Più mi cacciavo nelle risse, più altre risse venivano a cercarmi. Più mi facevo male più ne cercavo, perché la rabbia funziona così: esige più nutrimento ogni giorno, più energie, più attenzione.

Poi a Maoyi, da ubriaca, persi il controllo e mi feci quasi ammazzare. Uno tirò fuori una pistola per spararmi in testa quando ormai ero già mezza svenuta, ma invece di colpire me prese di striscio Nadia, ad un braccio.

Nadia, il medico di bordo della nostra Lucky Bastard: una ragazzina che aveva fatto l'infermiera nelle fasi finali della guerra. Avrà avuto ventitré, ventiquattro anni. Le volevo bene, a modo mio, ma quando iniziai la rissa non considerai neanche per un istante il modo in cui la stavo mettendo in pericolo. Non so neanche se ricordassi di averla portata con me.

La prima cosa che vidi quando riaprii gli occhi fu John. Lo vidi e basta, però: per il mese seguente si ostinò a non parlarmi, a non guardarmi neanche in faccia. Poi, un giorno, mentre stavo provando a spaccarmi il gesso del braccio sinistro, entrò nella mia cabina e mi disse qualcosa che non scorderò mai. Mi disse: "o fai pace con te stessa, o non puoi più stare sulla mia nave".

Una settimana dopo lasciai la Bastarda Fortunata: fare pace con me stessa, risposi a John, non era un'opzione.

Perché non mi serve.
Non mi serve far pace con me stessa, non sono in guerra con me stessa. Questa rabbia che ho dentro, con cui mi sveglio ogni mattina e con cui vado a dormire ogni notte... questa rabbia che mi mangia dall'interno non ha niente a che fare con me, con chi sono io, con come sto conducendo la mia vita. Ha a che fare con quello che mi è stato portato via e che non posso avere indietro.

E' questo il motivo per cui non faccio finta. Non faccio finta di non odiare chiunque scenda a patti con l'Alleanza o con i suoi marines, come quella ragazzina, quella Summer Cotton del ranch. Non faccio buon viso a cattivo gioco con quel Gibbs solo perché sarebbe più comodo. Non fingo di non volerlo uccidere, non fingo di non voler ammazzare ogni singola persona che ha preso parte allo sterminio della mia gente e della mia famiglia.

Non provo neanche a nasconderla, la mia rabbia, perché non me ne vergogno. Forse mi rende una persona peggiore, una persona più pericolosa, più inaffidabile di quella che ero prima di tutto questo.

Ma almeno... almeno la mia rabbia non mente mai.

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