mercoledì 11 gennaio 2012

my own kind of heart that exploded (part 2)



"Immagino non sia qui per un consulto medico".

Ha una voce roca. So riconoscere un fumatore quando lo sento, e lui lo è. Fuma di sicuro il raffinato tabacco sintetico del Core, quello possibile da trovare a tutti i sapori, tranne quello di tabacco vero. Faccio qualche passo nel suo studio, osservandone le pareti. Certificati che non riconosco attaccati ai muri e qualche quadro con colori opachi e segni astratti.

"Non pensavo mi stesse aspettando."

"Non esattamente. Sean le somiglia molto, miss Rooster".

Ruoto il capo verso di lui, ferma a metà di quella stanza. Seduto dietro una scrivania di legno solido, sicuramente importanto da qualche mondo del border, tiene le mani giunte, la schiena dritta. Eppure non è come immagino gli uomini del Core. Ha una camicia sgualcita sotto la giacca, una barba brizzolata e lievemente incolta, delle occhiaie profonde, degli... occhi, profondi. Ho sempre immaginato tutti quelli di Horyzon con gli occhi chiari e gelidi di Ryan Gibbs, persone che immagino non abbiano sentito mai il calore sulla pelle, l'affetto, la rabbia, la disperazione e tutte quelle sensazioni in grado di riscaldare il sangue nelle vene. Gli occhi opachi di Kal Suri, lo posso dire con certezza, hanno un tepore che mi è familiare, e allo stesso tempo ostile.

"Vuole sedersi?"

Voglio sedermi. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso, chiedendomi come Anne abbia potuto dormire con questo vecchio dopo essere stata sposata con Cain, come mai potrebbe preferire questo vecchio che ho di fronte a me. Accavallo le gambe senza togliermi il cappotto. E' quello marrone. Lo è da sempre.

"Posso immaginare perché abbia deciso di venire a farmi visita, miss Rooster. Non sono un uomo che gira attorno alle cose, e verrò quindi al dunque. Maryanne è decisa nel tenerla completamente fuori dalla vita del bambino, e ha in questo il mio più completo supporto. Prima che decida di perdere tempo sulla faccenda, le dirò che Maryanne ha la piena podestà sul bambino, insieme a me, in quanto suo genitore adottivo."

Lo guardo dritto negli occhi e quelle parole mi scivolano addosso come acqua gelida. Scavo nelle rughe del suo volto alla ricerca della sua storia, aggrappandomi con le mani ai braccioli della sedia.

"Vista la situazione, il consiglio più sincero che posso darle è quello di lasciare Capital City e di non farvi ritorno. Può consolarsi con l'idea che Sean vedrà soddisfatti tutti i suoi bisogni, che frequenterà le scuole migliori e che sarà sempre circondato dall'affetto dei suoi cari".

Sollevo appena il mento e schiudo le labbra, inghiottendo aria senza fretta. Provo a guardarlo da un'altra angolazione, dall'alto. Voglio aggirare l'attenzione dei suoi occhi calmi, del suo tono calmo e collaborativo, provo a guardare cosa resta di lui dietro la barba sfatta e i denti lievemente ingialliti.

"Lei non ha mai combatutto, non è così?"

Glielo chiedo, lo capisco. Lo vedo, deve essere così.

"Se avesse combattuto, non avrebbe il coraggio di dirmi niente di tutte queste stronzate. Se avesse combattuto, saprebbe che c'è una sola cosa che ti tiene in vita, nelle trincee. Hai gli stivali nel fango fin sopra le caviglie, non arriva cibo da giorni. Di notte, se fumi, rischi di essere colpito a vista. Ti danno un cappotto pesante, un fucile e un elmetto. Ma lo sa contro cosa non protegge, l'elmetto?"

I miei occhi diventano due fessure. Visto che non riesco a capire chi è ad occhi ben aperti, provo a confondermi la vista, a mescolare i suoi lineamenti in macchie di colore più vaghe che mi lascino solo una traccia su cui ricostruire i miei ricordi.

"Dalle granate. Piovono di giorno, di notte. E quando succede, non hai posto dove nasconderti. Quando te ne cade una vicina hai uno, massimo due secondi per allontanarti. Lo sa come sono le trincee? Be'. In due secondi non vai molto lontano"

Riapro gli occhi quando riesco ad intrappolare in quella traccia visiva quella immaginata di un volto che non ho mai conosciuto.

"E le cariche per guadagnare cinquanta metri di terreno. Ne ha mai sentito parlare? Vuol dire che esci dalla trincea e inizi a correre. Corri per quei cinquanta metri, e sono cinquanta metri in cui non hai riparo, non hai nessuno che ti copre le spalle. Se vuoi vivere, lasci andare avanti i più coraggiosi. La prima linea, i primi che saranno buttati a terra. Gli spartachiani, erano cosi. 'La linea spartana', la chiamavamo. Quando vedi certe cose, e provi certe cose, ti vengono in mente delle idee sulla vita, su quanto valga la pena"

Inspiro a fondo, notando con una sorpresa non manifestata che Kal Suri mi lascia parlare, osservandomi con l'attenzione di chi ascolta.

"E l'unica cosa che ti tiene in vita è quella. E' pensare che lo stai facendo per proteggere chi ami. Che tornerai a casa, troverai qualcuno ad aspettarti. A dirti che sei un eroe, ad aiutarti a riniziare una vita. Cinque anni di guerra. Ha idea di cosa voglia dire, riniziare una vita, dopo cinque anni sotto le armi?"

Non gli lascio il tempo di rispondere.

"Ma l'ho riniziata. Sono tornata a Shadetrack. Ho sepolto mio fratello vicino a mia madre, e a mio zio. E invece di lasciarmi morire, ho riniziato una vita, da sola, soltanto perché sapevo che da qualche parte in questo maledetto 'Verse c'era ancora un pezzo della mia famiglia. Del mio sangue. E tu. Tu ora sei qui, di fronte a me. Mi guardi negli occhi e mi dici che dovrei rinunciare a loro. Non hai un briciolo di vergogna?"

Kal Suri si spinge verso di me con il busto e mi fissa.

"Mi dispiace per la sua famiglia, capitano Rooster".

Mi chiama capitano. Lo guardo, e so che sta per inserire la lama là dove la mia carne è più tenera e la pelle più sottile. Ha gli occhi di una tigre che protegge il suo territorio, e in quello scambio di sguardi ferocemente pacato mi rendo conto che vuole Anne, che vuole il figlio di mio fratello come suo, che non desidera nient'altro e che non vi rinuncerà mai.

"Ma su una cosa si sbaglia: ho fatto la guerra. Ho prestato servizio nel corpo medico alleato. Ho salvato la vita a più ufficiali di quanti lei possa immaginare, e molti di quegli ufficiali ricoprono adesso i più alti ruoli nella Flotta, negli sceriffati locali, nelle più potenti società commerciali del 'Verse. So di lei. So della Lucky Bastard di John Cassidy, di quello che facevate a bordo e di quello che lui sta ancora facendo. E so anche che lei stessa ha una nave, con un numero di ex indipendentisti a bordo da fare gola all'ultimo degli assaltatori alleati. La sua mancata collaborazione mi costringe a porla davanti ad una scelta: può lasciare Capital City, Horyzon e, per sempre, la mia famiglia. Oppure può insistere, essere allontanata da loro da un ordine restrittivo e perdere qualsiasi cosa lei abbia costruito in questi anni dopo la guerra. E le garantisco che non mi accontenterò di farle togliere la nave: andrò a cercare nel passato di ogni singolo membro del suo equipaggio, farò tornare ogni fantasma."

Un respiro profondo.

"Lei non sa di cosa sono capace, capitano".

La pelle scura, gli occhi del mio stesso colore, le rughe. E' così che, a dodici anni, immaginavo mio padre: un uomo calmo e ostile, in grado di minacciare tutto ciò a cui tenevo. A dodici anni immaginavo la grande resa dei conti, il modo in cui l'avrei scacciato di nuovo dalla vita di mia madre urlandogli che ormai non avevamo bisogno di lui.

Con le mani ben serrate ai braccioli della sedia, la gamba che pulsa di dolore, ogni muscolo teso e contratto, guardo negli occhi l'uomo che somiglia all'idea che da bambina avevo di mio padre. Mi aggrappo al legno più forte, cercando un'ancora di salvezza, un'imprecisione, una via di uscita che mi permetta risolvere il problema positivamente.

Tutto ciò che trovo è un nodo ai miei piedi e una palla di ferro pieno che mi trascina sul fondo. In quel momento, proprio mentre spalanco gli occhi e il cuore si dimentica un secondo di pomparmi il sangue nelle vene, mi rendo conto che sono suoi, che gli appartengono. Che mio nipote è diventato suo figlio, e che l'unica donna che abbia mai amato è adesso sua moglie. E che non li rivedrò mai più.


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