domenica 5 agosto 2012

my own kind of origins: pa' 's long gone


Jack guardava il cavallo e il cavallo guardava lei.

Stava aspettando Don da almeno mezz'ora, a distanza di sicurezza perché suo zio diceva sempre che se un cavallo non ti conosce dovevi essere stupido per metterti a portata di zoccoli. Quindi lo guardava seduta a gambe incrociata su una cassa, mentre Don comprava il tabacco e parlava con Albert Jones, ridendo del ragazzino che al rodeo di Mexican era caduto alla prima sgroppata di Skylar, la puledra rossa. Ora Skylar se l'è comprata un proprietario di Salinas che era così grasso da non riuscire nemmeno a montarla. E la vita va così, diceva Don, chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane. Poi batté una mano sulla spalla di Albert Jones e tornò verso Jack, mentre si girava già la prima sigaretta della giornata.

Lei saltò giù dalla cassa con tutti i capelli a raggiera, che sua madre un'ora prima gliel'aveva raccolti in una bella treccia, ma lei se l'era scomposta subito perché non stava mai ferma. Don comunque non la rimproverava mai se si muoveva troppo, quindi andava bene. Si avvicinò al cavallo e gli andò di fianco, saltellando da una gamba all'altra perché Don ancora non si era acceso la sigaretta, e lei si annoiava.

"Andiamo?"
"Senza fretta, bambina"

Lei soffiò dalle narici e pensò che era vero che tutti quelli che venivano da dopo la Trinidad erano lenti. Dopo averlo pensato lo disse anche ad alta voce. Don le diede una schicchera sulla nuca con un dito e lei borbottò qualcosa, non osando ripeterla quando Don la guardò severo.

Si accese la sigaretta e ne fece un paio di tiri prima di prenderla da sotto le braccia e caricarla sul cavallo. Lei odiava essere presa in braccio, ma con un metro e venti d'altezza non sarebbe mai riuscita a salire in sella da sola. Si limitò allora a sbuffare e afferrò impazientemente le briglie mentre Don le accorciava le staffe.

"Posso andare da sola?"
"Solo se te lo meriti"
"E come me lo merito?"
"Facendo quello che ti dico io"

Non si tolse quel peso dalle sopracciglia per tutta la mezz'ora che Don passò a spiegarle come i cavalli ragionano, come uno deve muoverli e rispettarli. Non le concesse più di qualche metro da sola, recuperando sempre l'animale all'altezza del morso. Lei dopo un po' iniziò ad annoiarsi e, sperando di innervosire l'animale, deviava di tanto in tanto dalle indicazioni dell'uomo, facendole passare per dimenticanze o errori.

"Senti, dai - disse ad un certo punto - tanto non sono stupida, lo so che mi stai tanto dietro per la mamma. Vado un po' da Alina ai campi della fattoria e poi torniamo insieme, e tu le dici che siamo stati a parlare tutto il tempo"

Don spalancò gli occhi, la terza sigaretta della giornata gli oscillò tra le labbra.

"Tua madre è una gran donna, kid"
"Non è che me lo devi dire tu."
"E' importante che tu lo sappia"
"E' importante che lo sai tu, non io. Ha fatto fatica per un sacco di tempo, adesso ci serve qualcuno che la fa felice. Ma non è che - Jack si agitò un po' sulla sella, a disagio - non è che solo perché stai simpatico a lei, all'improvviso devi piacere pure a me e dobbiamo passare del tempo insieme. Non dobbiamo. Non sei mica mio padre"

Don lasciò per un po' il morso del cavallo, facendo scivolare la mano sull'attaccatura delle briglie. Era un uomo sui quaranta, coi capelli neri e la pelle cotta da sole, con degli scuri che sembravano piccoli perché li teneva sempre un po' chiusi. Aveva la barba folta e un po' brizzolata e delle rughe attorno allo sguardo, le spalle larghe e le braccia forti e piene di peli. Alle mani c'erano i calli, che non aveva ancora capito se era perché aveva zappato la terra o accettato i tronchi grossi del bosco a nord, quelli secchi e alti che facevano legna buona per tutto l'inverno. Era completamente diverso da come Jack immaginava suo padre. Non che se lo immaginasse spesso.

"I know I'm not, but he ain't around, is he? Tu e tuo fratello siete... ragazzini. Qualcuno deve prendersi cura di voi"
"Ci prendiamo cura di noi stessi da un sacco di tempo prima che tu venissi qui dalle fattorie di Crosside Bells" 
"Listen, kid. Io non voglio sostituire tuo padre. Ma non sto scherzando con tua madre. E voi due siete ragazzini in gamba."
"Per sostituirti a mio padre dovresti sparire più veloce di un selvaggio dallo zoccolo leggero. Mio padre è stato buono solo a fare questo, Cain se lo ricorda."

Don sembrava tutto pensoso. Ogni tanto faceva un tiro dalla sigaretta che ancora stava come un pendolo attaccata alle labbra ruvide che aveva lui, proprio al lato della bocca. Stava lì e in testa gli giravano tutti i pensieri e le strategie per farle fare un sorriso vero, visto che stava sempre scura in volto, come se avesse avuto un piccolo cuore nero che le pompava fuori dagli occhi tutta l'allegria e la spensieratezza che i bambini hanno di solito, e l'ingenuità e le varie buone cose che vengono con l'infanzia e se ne vanno via quando la vita inizia a farti gli sgambetti. Ad un certo punto si rimise dritto con le spalle e la sua faccia divenne tutta più luminosa, come se una buona idea l'avesse appena rischiarata. Fece un passo di lato e lasciò il cavallo, sollevando lentamente le mani. Gli venne da sorridere quando Jack lo guardò con due occhi grandi così, che non contenevano tutto lo stupore.

"Be', vai no?"
"Da sola?"
"Aye, che problema c'è?"

Lei rimase così qualche istante, poi ancora confusa afferrò con più decisione le briglie. Si mise dritta con la schiena per sembrare alta abbastanza per quella responsabilità, allargò le gambe e poi si mise a battere i talloni sui fianchi del cavallo. Quello partì al trotto così all'improvviso che quasi cadde. Ma non cadde. Invece recuperò l'equilibrio e si mise a fare il giro della piazza, con un sorriso che ad ogni giro si apriva un po'.

Questa è la storia vera di come Don West fu il primo a scoprire che Jack Rooster sapeva benissimo da sola cosa le servisse per essere felice, e di come Jack Rooster iniziò a capire che a volte, quando vuoi qualcosa, il primo passo per ottenerla è chiederla.

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