giovedì 10 novembre 2011

my own kind of skin


Sulla mia pelle ho sentito tutto.

Ho sentito il freddo delle praterie d'inverno, quando non hai nemmeno una tenda che ti ripara dal vento. Il freddo lento, dei momenti in cui a casa non avevamo più soldi per la legna quando ero piccola, quel freddo che ti penetra gradualmente nelle ossa e le rende più fragili.

Ho sentito, sulla mia pelle, il calore della mia casa che bruciava, le guance che mi scottavano perché non volevo allontanarmi troppo, come se la mia presenza potesse calmare le fiamme. Ho sentito il sudore del ricostruire quella casa. Ho sentito la paura, quella autentica, la paura di morire quando di vivere ancora mi importava qualcosa, ho sentito il manto dei cavalli selvaggi e le vibrazioni dei loro nitriti. Ho sentito sulla mia pelle le vibrazioni del terreno al passaggio dei bombardieri, ho sentito le schegge lanciate dalle bombe, la polvere mischiata al sangue. Ho sentito sulla mia pelle la pelle di mio nipote quando era appena nato, con quegli occhi di colori diviersi in grado di aprirti dentro un mondo.

Ho sentito la morte. O comunque qualcosa che vi si avvicinava molto.

Ora sento un tepore diffuso e un brivido insolito, inatteso ma piacevole. Chiudo gli occhi per trattenere la sensazione, perché non so quanto durerà.

Se c'è una cosa che la guerra mi ha insegnato, è di tenerti stretto tutto ciò che hai, che possiedi. Quello che oggi è tuo, diceva John Cassidy, domani potrebbe diventare di qualcun'altro.

"That's how this big damn' 'Verse works, Jack: you never get what you deserve"

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