giovedì 14 giugno 2012

my own kind of mission



Ognuno festeggia a modo suo.

"E' la seconda volta che vieni a trovarmi... inizio a piacerti?"

E c'è da festeggiare. La missione compiuta, l'esplosione del Moldava, l'Egypt annientato dalle batterie laser della Almost Home. Ho lasciato Sterling a smontare le batterie, col suo doposbornia pesante quanto un bufalo, e sono andata a rintanarmi nel bordello più discreto di Sunset Tower, quello che costa un po' di più ma che ha i letti non infestati dalle cimici e in cui le ragazze si fanno almeno un bagno a settimana. Ognuno festeggia come può. Subito dopo andiamo a Goldera, ma ho almeno due ore prima di ripartire. Due ore prima di ributtarmi nello spazio.

"Viva Sunset Tower. Viva il rim esterno. Viva Polaris, dove la birra è sintetica e le puttane economiche!"

Evito gli uomini, di solito. Gli uomini che si consolano nei puttanali di Safeport hanno tutti la stessa faccia stanca, gli stessi denti rotti, le stesse mani sudate. Quando si rivolgono a me mi limito ad ignorarli, la maggior parte delle volte basta quello. Vengono qui perché qualcuno dica loro che sono desiderabili. Lavorano sodo per permetterselo, non vogliono nessuno che li ignori.

"Viva il Grizzly, in culo all'Alleanza!"

Prendo per il polso quella che si chiama Fannie prima che l'agguanti il tipo con le spalle larghe, strattonandola gentilmente verso il piano di sopra. Lei ride piano, si lascia trascinare sciogliendosi i capelli. Fannie ha una cascata di capelli color castano scuro, mossi e puliti. Un profumo economico e dozzinale, delle labbra naturali e piene e il seno incipriato. Quando richiudo alle nostre spalle la porta lei mi getta le braccia al collo e mi gira attorno, come se volesse ballare.

"Ti riconosco, è la seconda volta che vieni a trovarmi... inizio a piacerti?"

Non mi piace parlare. Mi tolgo il cappello e la bandana, le giro attorno e inizio a slacciarle il corpetto sapendo di avere poco tempo prima di ripartire. Poco tempo prima che la notizia sia pubblica, che si sappia che gli indipendentisti hanno sparato nel culo della flotta alleata. A bordo dell'ISS Alaska non ero più capitano, ma l'ammiraglio Rooster. Non se ne parlerà mai, dell'ammiraglio Rooster. Forse quando avremo di nuovo la nostra indipendenza, forse allora. Sento l'adrenalina montarmi dentro mentre gli abiti di Fannie le scivolano addosso come petali secchi, e lei mi stringe e mi bacia senza farmi domande, senza contarmi le cicatrici o chiedermi conto dei lividi.

"Viva il Grizzly, in culo all'Alleanza! In culo a tutte le giacche blu di questo fottuto 'Verse, il culo all'Iron Lady, al Generale, in culo a tutti i corer! In culo ad Horyzon e ai loro grattacieli, che brucino tutti all'inferno!"

Dov'è l'inferno? Al centro di quale pianeta, in quali fiamme eterne? Nello spazio il fuoco si spegne, non possono bruciare. Ma soffocano. Come soffoco io sulla pelle di Fannie, tra le sue mani sottili indurite dai calli dell'amore in cui raccoglie tutta l'umana pietà di cui una puttana è dotata, e che va a distribuire in giro sotto forma di orgasmi e lusinghe, l'unico antico modo che conosce per regalare un po' di spensieratezza. In culo all'Alleanza, in culo alle ambasciatrici della Shouye care quanto una cassa di fragole naturali, in culo al Core che non mi raggiungerà mai tra le cosce di Fannie, la baldracca bruna di Jackmark.

Chissà se ne sentirà parlare.

Chissà se penserà che c'ero anche io, quando ne sentirà parlare.

Chissà se ha ancora il mio nome tatuato addosso, insieme a quello di tutti gli altri. Chissà se non gli resta che quello: un nome.

 Faccio in modo di non pensarci fino alla fine. Mi rivesto solo quando sono ormai stanca, lascio il giusto sul comodino di Fannie in pesos e mi faccio strappare la promessa di ritornare. Nell'esatto momento in cui la pronuncia, ho la consapevolezza che la prossima volta dovrò trovarmi un altro bordello.


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